domenica 30 gennaio 2011

Letteraturagrafica - "L'Eternauta" di Hector Oesterheld e Francisco Solano Lopez (1957-59)

Fiocchi fosforescenti cadono dal nero cielo notturno di Buenos Aires: come una scia di un aeroplano, un'inevitabile circolo di morte ha inizio.


Secondo il professor Ferri, la catastrofe, a braccetto con la necessità, cambia, modifica, plasma i sopravvissuti rendendoli vere e proprie macchine gelide e impassibili, pronte a tutto. Ma è proprio così?

Emblema della razionalità a tutti i costi, il professore ha sottovalutato “lo spirito”, ciò che contraddistingue la nostra "specie" (da prendere in un'accezione differente dal solito uso che se ne fa) dalle altre. Quello spirito che si sprigiona, passionale e impetuoso, che ci lascia basiti dinanzi alla tragica bellezza della morte, che ci fa incantare davanti allo spettacolo naturale del cielo stellato, che ci fa mantenere quel briciolo di speranza nonostante tutto. 


La disperazione si impadronisce della persona, la paura attanaglia e fa vivere la finzione del sogno, nascondendola dietro alla (ir)riconoscibile veste (o tuta?) dell'incubo, ma nuovamente si inceppa, come un mitra che ha scaricato troppi colpi a vuoto, e l'invisibile velo di Maya, impenetrabile e apparentemente inscalfibile barriera, mostra una crepa, un microscopico buco che lo fa cadere, (post)moderno sipario, mostrando la drammatica “verità”: dietro alla realtà senza speranza e senza futuro, c'è la stessa ed esasperata realtà; loro siamo noi.

Ma questa co-incidenza è paradossalmente troppo fortuita per essere vera e, allora, non si può far altro che lottare contro la realtà stessa, anche quando tutto sembra inutile e senza alcuna direzione, come una ricerca che dura secoli, forse minuti, forse l'Eternità, ma che non può non essere per dar forma ad un ricordo, che altri non è che l'Hermes del sentimento e dell'Amore.


Il senso è così veicolato e vincolato da una rammemorazione destinata a tornare, più forte della fisicità e del corpo, più forte della morte, più forte del tempo stesso: futuro, passato, presente sono gli arti di questo “eterno ritorno”, carne e/o mente di una vitalità destinata (?) a perire o a rimanere, a concludere la propria recherche solo se subordinata alla volontà divina dell'uomo.

Voluntas, Anamnesis, Agape e, quindi, come “quarto” e primo e ancestrale continuum, Humanitas: la corona si erge sopra il capo del re, come una fede nuziale mai dimenticata, ma forse è ormai tardi.

La geometria ha trionfato. Come sempre.

Lasciando perdere l'eccessivamente forzato e presuntuoso pippone mentale, comprate assolutamente questo capolavoro argentino di Oesterheld e Solano Lopez, famoso per la sua profetica vena storica: si trova a soli 2,50 € nei Libracci nell'edizione “I Classici del Fumetto di Repubblica”.




Lo so, non è proprio il massimo quell'edizione, ma è un acquisto imprescindibile, e “rinunciare a due caffè” (cit.) non è poi così doloroso.


martedì 25 gennaio 2011

Ineditime: Amer (2009)

Sublimare la lezione dei Maestri e trasfigurarla in una tesi registica sulla paranoia: il compito di Helene Cattet e Bruno Forzani, in questa coproduzione franco-belga, è impeccabile.

Muovendo dai "sospiri" e dai profondi colori del buio (siano essi "rossi" o viola o verdi), i due autori modellano, con il rasoio, la parabola contorta di una bambina-ragazza-donna che attraversa obliqua(mente) i passaggi di una crescita obbligata e accelerata dalla pre-senza della se(n/s)sualità nel suo mondo.

Con una violenta forza dapprima statica, poi centrifuga, e infine centripeta, il percorso spiroidale (perfettamente reso dalla meravigliosa locandina retrò) si de-linea e si chiude "in un batter d'occhi", anzi, in un'apertura.

Più che perverso, multiverso ma unidirezionale: l'appagamento (mancato) del desiderio (sia esso prettamente materiale, di libertà/indipendenza, di calore familiare) è ostacolato dal desiderio stesso (sessuale e morboso) e, piuttosto che l'annichilimento, la conseguenza immediata diviene l'esasperazione e l'eruzione incontrollata (ma vellutata come un paio di guanti) di istinti atavici.

Infiniti primi piani, filtri colorati sull'obbiettivo, movimenti di camera irregolari e spezzettati, colonna sonora: tutto sembra rifarsi pedissequamente alla tradizione del giallo all'italiana. Ma non più come mera (ri)produzione scolastica, quanto come esal(t)azione del reale (e sottinteso) respiro argentomartiniano: la sessualità come punto focale dell'indagine sul corpo e sulla testimonianza (martirio) della violenza.

E nella sua quasi totale assenza di suono (e parola), l'armonia di una lama sulla pelle non può che provocare un inaspettato senso di ritorno.

Di ritorno a Casa.

Trailer Capolavoro - Ballata dell'Odio e dell'Amore



Montato di Michele Fraschetti: uno dei migliori trailer degli ultimi dieci anni.

E tra l'altro il film è sicuramente un capolavoro. Al cinema il 22 aprile.

giovedì 20 gennaio 2011

The O'Games - Battle Chess

Lasciando perdere la battuta (per nerd) del titolo della rubrica, ecco un capolavoro.

BATTLE CHESS (1988)

Per questo gioco non ci sono parole. 

Ero un pischelletto di sei, sette anni, quando, sul pazzesco pc del papi (con su Windows 3.11) mi ammazzavo di partite di scacchi.

Perchè un bambino "normale", a sette anni, si ammazza di partite di scacchi? Perchè deturpare la propria innocenza infantile con un gioco così cervellotico e compiaciuto?

Ebbene la risposta è Battle Chess: vedetevi un tre minuti di video e capirete.



So che non credete ai vostri occhi ma è proprio così: quando le pedine si mangiano, combattono e si uccidono animandosi.

Cioè, si animano davvero, rendiamoci conto.

Questo, per un bambino di sette anni, era tutto. Passare ore a vedere le pedine della scacchiera che si ammazzano (e ricordo morti splatter, torri che si muovono diventando mostri, il re che mangiava le pedine...) è una cosa che chiunque amarebbe fare, soprattutto dopo aver scoperto che, ad ogni interazione tra tipi di pedine, c'è una morte diversa.

Follia totale: un delirio di violenza incontrollato e medievale. Quanto di più vicino ai deliri di un bambino di sette anni.

Una cosa che CHIUNQUE vorrebbe vedere. Anche adesso.

E allora ecco il sito per possedere amare adorare questo videogioco che ha segnato l'infanzia (sigh) del sottoscritto.

Godetene.


domenica 16 gennaio 2011

Ineditime: Rammbock - Siege of the Dead (2010)

Anno nuovo, rubrica nuova (?).

Qualcuno con un po' di pelo sullo stomaco resterà allibito: figli della Crande Madre Cermania che si dilettano nel regno dello zio George A.?

Ebbene sì.

Morti viventi per questo indipendente tedesco che ricalca (alla grande) la collaudatissima scia della tradizione quarantennale della "dinastia" zombi.

Meno di due minuti: classico palazzone berlinese, un disgraziato goffo e grassoccio (vederlo in pigiama destabilizza) e un pischello che sembra preso da Skins-Deutschland rimangono bloccati in un appartamento.

Fuori, "l'orda".

Tenere alto il coinvolgimento in un singolo luogo è impresa ardua (o per spagnoli), ma il buon Marvin Kren (classe 1980), sostenuto dalla durata da finto-lungometraggio (60 minuti scarsi), riesce a non sbrodolare.

Anzi.

Camera a mano e montaggio serrato, elementi base dell'alchemico antidoto per la noia da horror-clichè, si sciolgono, come un Effervescente Brioschi, in una gradevolissima cura alla nostra indigestione da DTV.

Rabbioso ed inesorabile (paradigmatica una sequenza che nella sua velocità abbagliante non dà il respiro necessario per comprendere ciò che accade), Kren gioca a fare il Fresnandillo di "28 Settimane Dopo" con l'agitazione "da periferia" (supportata da una fotografia scura e urbana) che si tinge della piatta monocromia della vita della Capitale.

E nonostante poggi le sue crucche chiappe nel morbido territorio (ben recintato) dei non-morti, Rammbock flasha per una "trovata" (a)tipica da aggiungere al pratico "Manuale per Combattere gli Zombi".

Finale (pseudo)ieratico? Poco ci cale; nella sua chiusa compressione ritmica, un toccasana per noi amanti dei bavosi decrepiti.