domenica 17 luglio 2011

Letteraturagrafica - "Glaucos" di Akio Tanaka (2004)


Il mare è l'origine, punto di partenza e di ritorno: l'acqua circonda e svela occultamente, nelle profondità, ciò che non può emergere in superficie. L'Oltre.

Il rapporto Ma(d)re-Figlio, tratteggiato con piani scuri e chiari che, divisi, si conformano in uno spazio extra-terreno, trova il suo compimento nella ricerca di un equilibrio attraverso il suo opposto, alimentato dall'irruenza di figure nuove nel mondo del giovane protagonista, figure archetipe il cui spessore è delimitato dal contatto diretto con un essere speciale, un figlio del mare.


Frastornante e placida, la Natura, ricca e vicina, dettagli e disegni che acquistano massa evanescente ma pesante, come la luce del sole che investe un corpo divenuto anonimo, accolto in un abbraccio totalizzante.

In quattro volumi-stagioni, ciclo del tempo e della vita.

Buon manga in quattro volumi che si trovano a cinque euro l'uno. Disegni spettacolari di Akio Tanaka. 
 

martedì 5 luglio 2011

Considerazioni su dei Film Italiani in Sala


Parlo ovviamente dei film "di genere". E mi riferisco nello specifico a "6 Giorni sulla Terra" di Varo Venturi (fantascienza) e a "Hypnosis" di Simone Cerri Goldstein e Davide Tartarini (thriller-horror con influenze avatiane e carpenteriane).

Perchè sono delle merdacce:
- Non si capisce un cazzo. Soprattutto del film di real-scienza (!!!) del buon Varo. Confusione pressochè assoluta.
- I dialoghi. "I tuoi figli nasceranno con teste di cani!" e ho detto tutto.
- La recitazione. C'è una scena in "Hypnosis" che è da pianger dal ridere. C'è una vecchia che... No, vabbè, non bisogna rovinarsela.
- Montaggio? Questo sconosciuto. Ritmo assente nel primo, spaventi da anticipazione esagerata nel secondo.
- Italianità. Invendibili all'estero, c'è puzza di provincia (e non quella avatiana) lontana un miglio.
- Sto male. Sto male.

Mi sono accanito col povero "Hypnosis" ma in realtà la merda in testa avrebbe dovuto averla specialmente il film di Venturi. C'è da dire che entrambi provano a dire qualcosa di nuovo nel panorama italico, ma solo "H." lo fa con genuino amore per il cinema (ovviamente l'Uci che l'ha distribuito in lungo e in largo perchè una location del film è proprio uno dei multisala della catena).

"6 Giorni sulla Terra" è pura propaganda alle teorie del professor Malanga (qua un monologo di cinque ore in cui spiega il Tutto).

Ho capito sperimentare, ma perlomeno farlo decentemente?

Un po' mi dispiace per entrambi. Ma quando ce vò ce vò.

giovedì 23 giugno 2011

Recensione: Drive (2011)


"A real human being, and a real hero": Winding Refn ci conduce lungo strade che, nello loro luminosa e sacra semplicità, ci investono di una straordinaria potenza emotiva.

La nitidezza di una regia composta, narrativamente sopraffina, sommessa, ma enorme, si accompagna allo stupendo policromatismo di una messinscena di prorompente eleganza e di pacata violenza, in cui è la musica (incredibile) a frastornare il cuore, come se ascoltassimo le nostre canzoni e vedessimo le nostre storie.

Crimine e amore si imprimono definitivamente, come una ferita profonda, sullo spettatore, stravolto e felicemente appagato dell'esasperata partecipazione emotiva cui è sottoposto: le straordinarie sequenze (di inseguimento, d'azione, d'amore) si susseguono in una mitopoiesi totale del Guidatore che emerge dalla potenzialità del clichè come eroe di una nuova era.

Ed è la dolce freddezza di un Ryan Gosling granitico a garantire la scultorea firma di un Film capace, finalmente, di parlare non più alla razionalità, ma al cuore.

Sono consapevole dell'evidente scarsezza di questa recensione, ma è impossibile parlarne obiettivamente. Quando si esce dalla sala col cuore in gola e le lacrime agli occhi, non si può parlare con la testa. 
Un film che ti fa rinnamorare del Cinema e dell'arte di creare emozioni, brividi, partecipazione.
Davvero.

EDIT: Due clip per entrare nel mood.





E vabbè...

venerdì 10 giugno 2011

Recensione: Melancholia (2011)


Sconfortante e scomodante proiezione di futuribili catastrofi, annichilente inevitabilità di predestinazioni: in quella che è la sua Fin Absolue du Monde, Von Trier, (in)castra, in un inequivocabile e disperato dittico con la sua precedente opera (lirica), la scrosciante grandine dell'inconscio femminile e l'infantile pochezza dell'avvilente universo (?) maschile (il campo medio del marito seduto, seminudo, sul letto matrimoniale è di una potenza esemplificativa strepitosa) confinando lo spazio (umano) con opprimenti volti ravvicinati che lasciano il Vuoto, ingombrano il quadro, soffocano.

La bipartizione secca dello scontro tra due pianeti lontani ma prossimi alla collisione (interpretazioni da premio quelle di Kirsten Dunst e di Charlotte Gainsbourg) è risolta con graduale messa a fuoco del rapporto di grandezza tra le parti, profeticamente preannunciata nell'esasperato e cripticamente desolato prologo di gravosa veemenza da romanticismo ottocentesco e coadiuvata dall'utilizzo protratto e (non più) dogmatico del montaggio (impetuoso, asfissiante) e della macchina a mano.

Ed è l'arida prospettiva (mancante) di una qualsivoglia via di fuga (sia essa il rapporto di coppia, l'amore, la famiglia, il lavoro) che, nietzscheanamente, permette di accettare la sublime tragicità della vita. E di subire, consapevoli e desiderosi, la potenza, catartica, della (nostra) Natura.

lunedì 6 giugno 2011

La Retrospettiva del Mese - Simon Rumley

Del mese? Ormai rimane solo il nome altisonante e ridondante e che suona bene.


SIMON RUMLEY: L'ORRORE DELLA CONCRETEZZA

La malattia, il cancro, il sentirsi vivi, ritratti di tangibili esperienze. Rumley porta di peso i suoi ricordi e li trasfigura in film dell'orrore atipici, strani, diversi, in interrogativi obbligati e perentori, impossibili da scansare.

TLTD - THE LIVING AND THE DEAD (2006)

Copertina del dvd italiano.
Nuclei familiari come quadri scaraventati con violenza al suolo: spezzati, infranti, che è possibile rincollare ma la cui unità originaria (?) non tornerà mai. La malattia frantuma la cornice, e il linguaggio non può che seguirne la carcassa, in un'escalation drammaticamente lucida. 

Cavalletto, pianoforte, accoglienti e amorevoli. 
Primi piani, spaccatimpani, a schiaffo, isterici.

L'accento inglese ci rimanda alle commedie umoristiche del Regno Unito, il montaggio al primo Tsukamoto: l'instabilità da diegetica diventa extradiegetica, la coincidenza tra istanza narrante e mondo narrativo è sviluppo stesso della vicenda.

Una foto color seppia, sbiadita, ed un sogno sovraesposto, luminosissimo; l'alba giunge e l'oscurità permane per poi sparire nel tramonto; strepitoso, Leo Bill, nel ruolo del figlio ritardato, il cui ruolo cambia con l'avanzare dei minuti, ci impone uno sforzo di distacco/immedesimazione che ha del formidabile. Sentirsi necessari per sentirsi vivi.

" [...] His soul swooned slowly as he heard the snow falling faintly through the universe and faintly falling, like the descent of their last end, upon all the living and the dead." 
James Joyce (da 'Gente di Dublino')

RED, WHITE & BLUE (2010)


Rosso: la carne, la passione, il sangue. Materialità di polvere, di granelli che, in volo nell'aria, si incontrano, scontrandosi. E la forza dello scontro li allontana. Il jump cut, la struttura, la macchina mai ferma osservano i personaggi e le loro emotività impetuose e devastanti. 

Bianco: l'innocenza e il giudizio. L'azione e il controcampo, nei rapporti di coppia, nella famiglia: il quadro abbraccia, il gesto ha senso solo nella sua rappresentazione totale. La madre malata con il figlio bisognoso, chi si ama davvero, vivere un sentimento all'interno di una casa, e dentro al proprio corpo (rosso), e qui sentirsi finalmente vivi. Dormire.

Blu: giustizia e libertà. Come il cielo, essere quello che si è, il proprio passato. Una famiglia? Il fuoricampo brucia il tempo della fruizione, reale, in piano sequenza. E ancora il pianoforte, "distorto", spiega la lettura dell'inevitabile fatalità del destino.

E la bandiera dai tre colori continua a sventolare.

In definitiva, Simon Rumley, nel "disidratato" della sua rappresentazione (mai retorica), risulta tappa a cui sostare, se si vuole toccare con mano l'orrore vicino, del concreto.

Microretrospettiva, ma a sto giro va così.
Con calma si arriva. Gradualmeeeente.

sabato 4 giugno 2011

Ineditime: Zoo (2007)

Kenneth Pinyan, deceduto dopo aver avuto un rapporto anale con un cavallo: arduo non cadere nelle facili scappatelle dell'exploitation di basso profilo, difficile trattare l'argomento (zoofilia) evitando mezz(ucc)i come l'ironia o lo scandalo moralistico.

L'eleganza sopraffina del 16mm ascolta le testimonianze, tenendosi presente, scegliendo di non mettersi in disparte, inscenando e interpretando la visione propria dei protagonisti, la loro morale, il loro amore, vero e supposto.

Robinson Devor, recuperando le (reali) interviste audio ai protagonisti della vicenda, specchia un flusso temporale (dis)continuo che, dalla bipartizione evidente tra suono (ininterrotto, proseguito) e immagine (ricca di ellissi, di salti), si fa ricordo, esperienza (smodato l'uso del ralenti non come enfasi ma come fissante, che enfatizza).

Il tempo della narrazione, la fotografia pittorica e curatissima, quasi poetica, le brevi panoramiche degli ambienti, la collisione tra luce nascosta e buio visibile, elementi di ulteriore forza di aneddoti disturbanti, scenografie putrescenti, psicologie deviate: parallele amalgamate, apparentemente lontane ma unite, in un singolo disegno i cui piani sovrapposti rendono maggiore lo spessore destabilizzante, come in un abbraccio non ricambiato.

Documentario di alto livello.

So che la metà di chi capiterà su questo post vorrà un bel pornazzo o un film disturbante con sesso con i cavalli e roba simile.
Beh, sulla rete si trovano le imprese filmate di Kenneth aka Mr.Hands.
A me interessa il cinema.

giovedì 2 giugno 2011

Recensione: The Ubaldo Terzani Horror Show (2010)


Gabriele Albanesi, dopo "Il Bosco Fuori", sforna il suo secondo sfilatino speziato: Stivaletti agli effetti speciali, strizzatine d'occhio al cinefilo (da Bava alla Rarovideo), camei familiari (Manetti e Flaminio Maphia a rapporto) e chiaramente qualche bello squartamento old school.

Operazione revival ma, nel piatto, rimane ben poco per cui essere sazi: un pass(ettin)o in avanti nella cura tecnica, ma non basta, urge un salto di qualità definitivo, e la fotografia monocorde (a parte qualche verde argenteo qua e là) insieme alla scarnezza del digitale e al comparto attoriale deficitario (insalvabile pure Ubaldo) ne è la mogia copertina.

Plauso alla battuta finale del produttore che chiude il cerchio (interessante) che aveva il suo reale presente all'inizio della vicenda (autobiografia annunciata); il resto, tra mediocrità e scontatezza, purtroppo, e duole dirlo, dà un immediato effetto post-eccessi-da-festa-vip: occhio all'amnesia a breve termine.

domenica 29 maggio 2011

Ineditime: Aragami e 2LDK (2003)

"Girare un lungometraggio in sette giorni, con due attori principali, un duello mortale, in una singola location": una provocazione del produttore Shin'ya Kawai ai due nipponici registi Ryuhei Kitamura e Yukihiko Tsutsumi. E nasce il Duel Project.

2LDK di Yukihiko Tsutsumi
L'instabilità dei rapporti obbligati deforma la visione del tutto: la regia, dettagliatamente alienante, divide le due opposte coinquiline chiuse nello stesso microscopico appartamento (2LDK, un termine giapponese che indica "Two (Bedrooms), Living, Dining, Kitchen"); la loro (dis)somiglianza trova compimento nell'esplosione pacatamente controllata (?) di violenza fisica, in cui gli schemi fissati si rompono definitivamente (l'irruzione in campo è permessa).


Tsutsumi esplicita il (suo) pensiero: l'Ambiente è il terzo personaggio, causa, conseguenza e deus ex machina della vicenda, chiave di volta e punto di non ritorno. Alterato il personaggio, si altera la percezione stessa di spazio-tempo (dilatato), del senso di colpa (annullato), dell'umanità (dimenticata).

Angosciato e scorrevole.

Aragami di Ryuhei Kitamura
Passa da incredulo a divinamente illuminato, il protagonista di Aragami: la mitologia, sapientemente metabolizzata, non è più atta a spiegare al popolo, ma a far aprire gli occhi agli eletti, a coloro che sono pronti ad apprendere ed andare al-di-là. Proprio quando si agisce si comprende: il dialogo è una beffa, la violenza è la via per trascendere.


Ed è qui che Ryuhei si lascia andare, dopo la compostezza riflessiva (?!) della prima parte (la fotografia ne è l'emblema): carambole funamboliche, scintille, pistole, spade, musica elettronica e rock, e via discorrendo che, in un'operazione simile, non possono che fondare il senso stesso del film.

Tamarrata finale immancabile: gustoso.

In definitiva, un progetto interessante, veloce, che non annoia. Farà la storia dell'underground.
Ogni riferimento è puramente casuale.
PS: Forse ho mentito, Wikipedia dice che in Italia, 2LDK è uscito. Vabbè.

giovedì 26 maggio 2011

Letteraturagrafica - "Il Gusto del Cloro" di Bastien Vives (2008)


Un silenzioso verde acqua avvolge una semplice storia tra due ragazzi che si incontrano. Bastien Vives carica i vuoti della piscina (unica location e metafora stessa del rapporto amoroso) con sottilissime linee incerte ma calme, rallentate, mai sfumate.

Il movimento è il linguaggio; la parola, nonostante la sua importanza (connotata dalla sua scarsa presenza), è subordinata all'azione, scende nel (pro)fondo, a toccarlo, a scoprirne il volto (di Sais?), a riemergerne, e a comprenderlo poco alla volta, col tempo.

E le espressioni e i visi, svelati dai colori filtrati e dal tratto scarno, dalle posizioni, dalla precisione frammentariamente unitaria nella rappresentazione dei movimenti, così fluidi da sembrare liquidi ed eterei, lievi ed eterni, evidenti ed ambigui.

Il cuore ne giova. Sopra e sotto il livello dell'acqua.



Qui sopra le prime pagine in anteprima (direttamente dal sito della Blackvelvet), con cui farsi un'idea di questa meraviglia: purtroppo son diciotto cocuzze, ma con Amazon ve la cavate a molto meno.

sabato 21 maggio 2011

Considerazioni su Von Trier Nazista (?)


Festival di Cannes 2011, il controverso regista danese Lars Von Trier dichiara "Capisco Hitler" e altre amenità simili. La Dunst seduta di fianco al controverso panzuto sembra sconvolta, non sa come giustificarlo. I giornalisti sono silenziosamente sconvolti. Il giorno dopo viene cacciato.

Ovviamente un bel ricamino non poteva mancare: le testate esordiscono con "Von Trier nazista!", "Shock!", "Elogi ad Hitler!"... Hanno tutte le ragioni del mondo ma:
1) Sanno tutti che Lars è un cazzone controverso che provoca sempre a raffica e porta acqua al suo mulino;
2) La metà delle cose che dice non le prende sul serio e le dice scherzando o dandogli pochissimo peso;
3) I danesi non sono famosi per il loro senso dell'umorismo.

Da condannare? Decisamente sì, ma crocifiggere un povero panzone per un'uscita poco felice ed infantile, mi sembra un tantinello esagerato... Vabbè, ma parliamo di cinema: godiamoci il trailer del suo nuovo (sicuramente, e controverso) capolavoro, "Melancholia".



Perlomeno è ancora in gara. Potrà vincere qualcosa? Ehmmm...

Non sto difendendo le sue dichiarazioni. Sto dicendo che è un'evidente battuta riuscita malissimo. Come lui non prende sul serio noi, non capisco perchè dovremmo fare altrettanto.
Aspettative a mille per il catastrofico, anyway.

sabato 14 maggio 2011

Recensione: Con gli Occhi dell'Assassino (2010)


Vedere attraverso gli occhi di una cieca: la (non) visione di Morales si concretizza in sfumature a nero, in (necessarie) sequenze al buio e sonoro visivo, in soggettive tra buio ricercato e oscurità obbligata, trapiantandoci la prospettiva diegetica della protagonista.

Le ombre, simbolo e realtà, illuminano il quadro ed emergono, si celano (nella seconda parte) e si mostrano, sono protagoniste e comparse di un mondo che, a sua volta, nasconde: seguita alla perfezione la lezione del thriller soprannaturale-investigativo-sentimentale con protagonista femminile (brava Belen Rueda, attrice principale del cugino iberico "The Orphanage").

Qualche caduta ma non è buio pesto, e la sceneggiatura regge il doppio giro di orologio, lasciando qualche punto all'oscuro: dedicato ai nostalgici di "The Others".

domenica 8 maggio 2011

The O'Games - Fury 3

FURY 3 (1995)


Orribile collezione di videogiochi (chiaramente demo) da diecimila lire con copertina arancione ed un'immagine di qualche gioco rallystico da due soldi: aka il Paradiso.

Passo in rassegna i titoli suddivisi per categorie e vivo l'Eden effimero. E mi stufo.

Annoiato, installo 'sto gioco. In realtà non me n'è mai fottuto nulla della simulazione aerea (rifuggevo come lo sterco "Flight Simulator", pensando fosse il male incarnato), però chissà perchè questo mi attirava.

Astronavi futuristiche che bazzicano per paesaggi sterminati e anni Novanta, con i pixel grossi come macigni delle Galapagos che si manifestano sia nelle esplosioni (rigorosamente bicolore) che negli sfondi cyberpunk su cui si schiantava per la velocità eccessiva del gioco...



Gli effetti sonori... Meravigliosamente spaccatimpani, ad accumulo sulle musiche crescenti, a formare un nuovo brano di elettronica sperimentale, con relativo video fantascientifico, e via di cieli verdi e desolazione.

Deliziosa la citazione, nel titolo, al terzo capitolo dello Xenomorfo: CULT.

martedì 3 maggio 2011

Recensione: Habemus Papam (2011)


"Cambia, todo cambia": l'annuncio si insinua nell'opulento e pieno vuoto del Vaticano, condotto da quadrature segmentate e opprimenti, senza profondità (di campo).

La tenerezza degli sguardi di un perfetto Michel Piccoli è l'emblema stesso della responsabilità cui viene sottoposto un Uomo da altri uomini, in tutta la sua fragile umanità e nella sua pesante/leggera decisione, il cui dubbio è moto stesso di ulteriori moti, di riscoperta del prima e di cura del poi, di rispetto del dentro e di ricerca del fuori.

Siamo pronti alla responsabilità? Sontuosamente, nella sua impeccabile e costosa ironia, Moretti spariglia e ci fa attendere una guida, ci abbandona a noi stessi, e forse proprio qui sta il coraggio e la presa di coscienza del presente storico: nella visione consapevole del limite apparentemente distante ma che è lì, ad una manciata di voti.

Ammutolita e spiazzata la sala a fine proiezione. 
Chi si aspetta un film caustico e blasfemo giri a largo, qui si parla dell'uomo.
Non un capolavoro, ma ce ne fossero...

Letteraturagrafica - "Il Cavallo Pallido" di David B. (1992)


Dalla quarta di copertina:
"I sogni: un campo di battaglia. Qui si aggirano creature da incubo e animali fantastici come il Cavallo pallido, antico simbolo della Morte. Ogni notte David B. attraversa i pericolosi territori dell'inconscio. In questo libro ci regala il suo bottino di guerra: racconti onirici, suggestivi, inquietanti."

Raccolta (prima, seguita poi da "Complotti Notturni") onirica di suggestioni notturne del celebre fumettista francese, che "si mette su carta" ritraendo, con l'inchiostro e con la mano, l'Effimero per eccellenza: il sogno.

Scorre un'inquietante, grottesca e incessante parata di fughe sui tetti, metempsicosi, folle di demoni, buio, nasi oblunghi, animali e luoghi, situazioni e parole, con una straordinaria unità frammentata e riflessiva, come uno specchio rotto su un pavimento.


Il commento dell'autore (?), surreale, narra il già vissuto e il presente che è davanti ai nostri occhi, onnisciente accompagnatore nel Lete bianco e nero delle piene e poche pagine del volume, guidandoci cronologicamente nell'espansione della macchia dell'inconscio ferino.

Delizioso nella sua genuina sincerità, come un fedele blocco che ci aiuta a ricordare, sfizioso nella sua esplosiva fantasia, come una cena a base di blatte e millepiedi, queste piccole gocce ci faranno, se non altro, risvegliare dal candore annoiato del nostro sonno intellettuale.

Veramente piacevolissimo e visivamente bello...

sabato 30 aprile 2011

Trailer Capolavoro - The Tree of Life (2011)



Meraviglioso trailer, di una magnificenza visiva da far piangere. Terrence Malick gira il suo quinto film in una carriera iniziata nel 1973 con il cult "La Rabbia Giovane": pochissimi film per quarant'anni.

La trama in breve (tratta da Movieplayer):
Negli anni '50 tre fratelli scoprono il mondo e perdono la loro innocenza a contatto con la perdita e col dolore.

Due splendide locandine del film:



Uscita italiana: 27 maggio.

domenica 17 aprile 2011

Cine? Ma(h)... - Noi tifiamo Napoli, tiè!


Un corto indipendente del 2004 diretto da Vincenzo Cervoni, e che corto: "Forbidden Mansion" (visionabile su Youtube) ha sicuramente plasmato i miei gusti.

Visto sei buoni anni fa e avendomi fatto davvero paura, questo cult personale ha davvero indirizzato i miei gusti orrorifici virandoli in una determinata direzione. Per questo lo ritengo un piccolo capolavoro.

Evidentissimi gli omaggi/richiami, buono il comparto tecnico, ottimo senso della tensione e dello spavento: anche a distanza di anni (e nonostante le innumerevoli visioni), regge il suo impatto emozionale e la sua forza inquietante.

Però c'è una cosa, un piccolo neo, dannazione che cavolo, ma non è un errore suo, è un errore di sistema, di quelli che vi dicono che per far conoscere i vostri corti in giro bisogna essere internazionali, inglesi e merdaccia simile. Dopo trenta secondi si nota la particolarità dei protagonisti: sono meridionali.

Ma meridionali forti, eh. Mica da ridere.

Minuto cinque e qualche secondo, uno dei due chiama l'altro: Jason. JASOOOOON!...

Vabbè, non me ne fotte nulla, rimane una gemma rara.

venerdì 15 aprile 2011

Recensione: Scream 4 - Scre4m (2011)


La nuova decade impone nuove regole e, puntualissimo metronomo, Craven pensa bene di eliminarle (fisicamente) una ad una, attraverso una progressiva maratona di trucchi (s)velati.

Squadra che vince non si cambia: Williamson (ri)scrive la storia di Sidney, ambientandola nella cara Woodsboro, con lo smalto musicale di Marco Beltrami, e, dopo aver ingurgitato quindic'anni di teen-shows (inclusi slasher, of course), ne codifica gli stilemi per poi, con tagliente intelligenza, sbeffeggiarli sogghignando beato.

Wes, complice e ideatore del delitto, spiega con sovversiva sobrietà il "reboot secondo me": gettate le basi di una nuova trilogia, l'azzeramento è pronto e si cela, come sempre, dietro la maschera deformata del passato.

Alcune finezze: da notare come siano presenti attori di serie tv cult per gli adolescenti (OC, Veronica Mars, Heroes); la regia di Craven in completa controtendenza con la produzione attuale; i riferimenti dei protagonisti totalmente (e, ovviamente, con coscienza) futili a Facebook e simili; le frecciatine alla "serialità" di Saw (la saga di Stab...).
Buonissimo film: importante.

lunedì 11 aprile 2011

Recensione: Kick-Ass (2010)


Falliti con l'hobby del costume multicolore: non il solito cinecomix edulcorato, non l'usuale commediola americana dolcificante, a metà strada tra iper-reale, violenza e introspezione, una sorta di "manga" a stelle e strisce in cui sciami di volgarità e sangue investono lo schermo.

Idealmente tripartito in momenti comici, splatter e dramma, indossa benissimo ognuna di queste vesti, garantendo adrenalinico divertimento e gustosi attimi di tregua, nella giusta dose.

Intenti parodici? Lo smascheramento del supereroe è sotto gli occhi di tutti, in diretta web, la dissacrazione del mito è compiuta (ma non portata alle estreme conseguenze) ma l'obiettivo è tutt'altro: verdissimo intrattenimento da sala.

Musica "variegata", ritmo costante, personaggi originali: impossibile annoiarsi.

Eccezionale la scena di Big Daddy che si sbarazza di diversi uomini in un magazzino: sembra girata in un magistrale piano sequenza. E dannatamente straziante (forse involontariamente) il finale.
Buonissimo lavoro.

sabato 9 aprile 2011

Ineditime: Rubber (2010)

Mr. Oizo, a ruota libera, esplode in digressioni sul mezzo/spettacolo del cinema e sull'apporto (implosivo) dell'audience verso il cinema stesso.

Asfissiante l'arido clima che si respira, stemperato da un'intelligente meta-ironia grottesca (e non poteva essere altrimenti) svelata nei primissimi minuti che sciolgono, sotto il sole cocente, ogni nostro interrogativo ed ogni nostra ricerca di significato.

Uomo avvisato, mezzo salvato, "no reason" è la parola d'ordine: recisa la sospensione dell'incredulità, i (o gli) pneumatici hanno poteri "psicocinetici" (mi raccomando) ma il ridicolo (in)volontario non alberga qua, e le inquadrature fisse sono la forma alterata del divertimento da violenza gratuita.

Avvelenati, si rimane a seguire le vicende (ripetute) del copertone, costruendone mentalmente la struttura, mentre il regista francese si prende bellamente gioco della nostra (dis)attenzione, svoltando in tutt'altra direzione: c'è bisogno di dirlo? Originale e furbescamente geniale: sorriso compiaciuto immancabile.

giovedì 7 aprile 2011

Recensione: Sucker Punch (2011)


"Non sarete preparati" recita la locandina: iperbolico videogioco per nerd dal compiacimento facile, infarcito di riferimenti ludici e desaturato (letteralmente) da qualsiasi contenuto "alto".

La stucchevole sceneggiatura sembra dire il contrario, ma è eresia: Snyder gioca a fare l'innestatore Nolan, scalando livelli e livelli di oniricità, ma l'encefalogramma rimane piatto. O meglio, non gliene importa nulla: rallentato all'inverosimile, si crogiola nello scintillante sfarzo del green-back e della post-produzione, e lì penetra, abbracciato e accerchiato, nell'immersivo iper-mondo virtuale, creazione (di)storta di un Freud sotto adrenalina (in endovena).

Suicidio economico multiplayer: Larry Fong, mano destra, ne accentua i tratti fumettosi (qualcuno ha detto "300"?), Tyler Bates, in un delirio compositivo, seleziona una soundtrack all'insegna dell'abuso d'effetto, William Hoy, piacevolmente, esagera.

La mano (guantata) del Maestro dello slow-motion è (pre)potente, e la masturbazione cinefila (con tanto di ragazzette in abiti succinti, bazooka e mostri giganti) è dietro al sipario: per nerd incalliti, spregiudicati e orgogliosi. E seguaci delle superbe vacuità kitsch (d'azione), di plastica grigia adorabilmente luccicante.

Tra cui il sottoscritto che, per inciso, l'ha adorato.

domenica 3 aprile 2011

Recensione: Caravaggio (1986)


Biografia "oltre" dell'artista maledetto dipinto, con pennellate di chiaroscuro, e ritratto attraverso i suoi stessi quadri, che divengono, ben presto, singoli attimi "che catturano la spiritualità nella materia" e ne rappresentano i passaggi obbligatori, dalla vita alla morte.

Luce ed ombre si diffondono come liquido di una brocca caduta sul pavimento: i rapporti di potere si invertono, lasciando spazio (vuoto) alla straordinaria visione fatta di dettagli minuziosi, pigmenti di quotidiana rassegnazione e di condivisione attesa, e giacciono sulla stessa lama.

Pacato e rabbioso, l'apporto di Jarman, il bacio di un pittore cha amava la vita ad un pittore che amava la vita, maestro autoriale, modello autentico di sfrenatezza e (in)sicurezza, paradigma di esistenza irrequieta, breve e "maledetta".

Anacronistica e assoluta poesia per immagini.

sabato 2 aprile 2011

Ineditime: Alucarda, la Hija de las Tinieblas (1978)


Diavoli messicani urlano e sbraitano, in un groviglio orgiastico di meravigliose immagini scalpitanti di un luogo fuori dal tempo, magnetico e avvolgente ma con netti panorami sull'abisso nudo e crudo, come un abito talare strappato di dosso.

Moctezuma evoca scenari passionali e cremisi, la terra sembra scavata e riassestata, gli ambienti mostrano una natura folle, selvaggia, demoniaca: il rito si consuma in un tribale cerchio di corpi e la nudità dà più vigore agli spiriti che penetrano, carnalmente, negli illibati corpi degli innocenti, liberamente volontari, in cerca di qualcosa che le sacre bende/catene del bigottismo non possono offrir loro, l'amore.

Inesorabile maelstrom di passioni, condotto da un velocissimo montaggio (tipicamente anni Settanta) e da risvolti cromatici pieni, disturbante e surreale, con culto jodorowskiano per la pulizia estetica nella rappresentazione del sangue e del dolore (le scenografie infernali, la fotografia luminosa, il rosso acceso) e per i riferimenti evangelico-blasfemi (ma è davvero così?).

La possessione spirituale dell'amore e la liberazione fisica dai vincoli (a)morali, per questo dimenticato "cult" del sottogenere esorcistico: da esplorare.

domenica 27 marzo 2011

Ineditime: The Final (2010)

Districarsi tra i banchi di scuola non è facile, e Joey Stewart lo sa bene: impianto prospettico ambiguo, ma pulito, saturo e luminoso, come un diabolico piano tenuto segreto.

"Lunga vita alla giustizia!" con senso del Divino; la notte scorre veloce e pesa sull'attesa, e il non visto è funzionale all'accumulo di tensione (pressochè costante) nonostante si sappia già chi c'è behind the mask: due tratti di caratterizzazione, deliri di personalità (e presunta maturazione annessa, of course) e l'immedesimazione è servita.

I gore seekers ne stiano lontani, qui si va a casa 'violenza psicologica', a cavallo tra torture porn, slasher e revenge movie, sotto l'egida di nonno Scream e papà All the Boys Love Mandy Lane, insieme a mamma Psicanalisi (?) e la sua dialettica (abusata) di vittima/carnefice interchanged.

Sfilata di maschere cool ed impietosa crudezza studentesca (in tutti i sensi): esame passato.

Troppo inglese, ho esagerato.

sabato 26 marzo 2011

Ineditime: La Meute - The Pack (2010)

La francese Nouvelle Vague d'Horreur continua a vomitare figli brulicanti.

Cura tecnica encomiabile (fotografia del sempre fidato Laurent Barès) in contesto rurale, con condimento redneck: il succo (nero) che Franck Richard ci fa ingurgitare nella sua opera prima è questo.

Scontato? Due fattori lo tengono sollevato una spanna da terra: una decisamente coraggiosa mistura di demenzialità (voluta) e seriosità, che lascia interdetti, e una variatio generis che permette ad un nuovo sottogenere (?) di (ri)sorgere dal sottosuolo.

Garantiscono Philippe Nahon (che gigioneggia) e Yolande Moreau (che convince, eccome): sani effetti artigianali, inquadrature (ma non montaggio e sceneggiatura) da manuale e paesaggi nebbiosi e sporchi.

Non molto convincente, ma tant'è, sulla rossa scia del nuovo millennio orrorifico.

Qualcuno storcerà sicuramente il naso, dicendone di tutti i colori: beh, non è detto che non abbia ragione ma, già solo per la presenza di Nahon, va visto. E poi io, di un pacco, amo quasi più l'incarto che il contenuto, pochi cazzi.

venerdì 25 marzo 2011

Libroteca: "Firmino - Avventure di un Parassita Metropolitano" di Sam Savage (2006)


" [...] All'inizio mi avventavo senza andare troppo per il sottile, in modo indifferenziato, abbandonandomi a un'orgia insaziabile - un boccone di Faulkner era come un boccone di Flaubert, per quel che mi riguardava. Ma presto cominciai a notare delle sottili differenze. Notai, prima di tutto, che ogni libro aveva un sapore diverso: dolce, amaro, aspro, agrodolce, rancido, salato, agro. Notai, anche, che ciascun gusto - e, con il passare del tempo e l'acuirsi dei sensi, il sapore di ciascuna pagina, frase e infine parola - portava con sé e suscitava nella mente un insieme di immagini e rappresentazioni di cose di cui non sapevo nulla [...] "

Ratto pervertito o accanito lettore? La storia di un sorcio putrido, rachitico e raffinato, amante dei porno e di Joyce, eterno sognatore e caustico disilluso.

Divora (letteralmente) libri su libri, Firmino, li ama, li possiede, figurandosi un ballo sensuale con la Bellezza Ginger, immaginando di andare a trovare qualche Grande della letteratura nella sua casa parigina, esplorando i lembi estremi della fantasia. Con spirito umano.

Piacevole e talvolta spiazzante (in alcune tematiche) autobiografia, che erutta amore per la poesia e la prosa, ma anche il cinema, e l'arte tutta, scritta con uno stile leggero ma ricercato, che cresce d'intensità lirica pagina dopo pagina, accompagnando il conseguimento di esperienza autoriale, e di vita.

Qualcuno potrebbe trovarlo ripetitivo, banale, noioso, come i modi di dire di un vecchio amante della fantascienza, altri ci vedrebbero una fiaba (per adulti) con umorismo nero e riflessioni ironicamente ciniche, altri ancora apprezzerebbero gli infiniti omaggi e riferimenti ai propri libri preferiti (anche minori).
Ma, in fondo in fondo, è solo una lunga e genuina serenata di un innamorato.

Recensione: Adrenaline (1990)


Folle distillato di brevi segmenti grotteschi, corpo unico di un delirante progetto collettivo francese, "Adrenaline" si configura come apripista (e unico elemento?) di una corrente sociopolitica di un umorismo caustico, amaro e macabro, in cui i riferimenti al reale sono elementi fondanti più che evidenti.

Dalle macchine che ci conducono, amiche, alla distruzione, alle videocamere che divorano la nostra immagine; dalla televisione impazzita cui serve un esorcismo, all'effettiva realizzazione di un'opera d'arte; dalla difficoltà nell'acquisto di un'abitazione oggi, alla stessa che non può che schiacciarci: il sangue esplode, i ghigni si sprecano, le idee non mancano.

Micro-sezioni a sé stanti, come organi autonomi di un uomo seviziato, le cui giunture saltano, rimpiazzate da lillipuziani (e sfiziosi) affreschi di rara cattiveria quotidiana, con improvviso effetto doubt.

Ambiguo e beffardo trapezista, perennemente in bilico tra denti stretti e denti "battenti": delizioso.

Lista degli episodi/corti:
- Les Aveugles - I Ciechi di Anita Assal e John Hudson
- Metrovision di Yann Piquer
- Revestriction di Barthélémy Bompard
- Graffiti di Barthélémy Bompard
- Le Cimetiere des Elephants - Il Cimitero degli Elefanti di Philippe Dorison
- Embouteillage - Imbottigliamento di Barthélémy Bompard
- Corridor - Corridoio di Alain Robak
- Interrogatoire - Interrogatorio di Yann Piquer e Jean-Marie Maddeddu
- Urgence - Urgenza di Yann Piquer e Jean-Marie Maddeddu
- La Derniere Mouche - L'Ultima Mosca di Yann Piquer e Jean-Marie Maddeddu
- T.V. Buster di Anita Assal e John Hudson
- Cyclope - Ciclope di Anita Assal e John Hudson
- Sculpture Physique - Scultura Fisica di Yann Piquer e Jean-Marie Maddeddu

Una chicca.

domenica 20 marzo 2011

Recensione: Chacun Son Cinéma - To Each His Own Cinema (2007)


La locandina recita "Une déclaration d'amour au grand écran" (una dichiarazione d'amore al grande schermo), e "Chacun Son Cinéma" è proprio questo: un sentitissimo omaggio da parte di trentatre (in realtà trentaquattro) registi affermati all'Arte che li ha consacrati.

In ordine cronologico (versione dvd StudioCanal*), un breve commento per ognuno:

Cinéma d'été di Raymond Depardon
La proiezione: comunione collettiva.

One Fine Day di Takeshi Kitano
Una giornata nella sala oscura.

Trois Minutes di Theo Angelopoulos
Innamorarsi non è mai finzione.

Dans le Noir di Andrei Konchalovsky
Nell'oscurità, l'amore vero e l'amore fittizio.

Diario di uno Spettatore di Nanni Moretti
Ironia autobiografica sul presente (e futuro) del cinema.

The Electric Princess Picture House di Hou Hsiao-hsien
La gioia dei fantasmi risuona vibrante nel vuoto.

Dans l'Obscurité di Jean-Pierre e Luc Dardenne
Il cinema. La nascita delle emozioni.

Absurda di David Lynch
Lo specchio di ieri, oggi e domani.

Anna di Alejandro González Iñárritu
"Was the film black and white?" "No, it was in color."

En Regardant le Film di Zhang Yimou
Aspettare.

Le Dibbouk de Haifa di Amos Gitai
Il rapimento della luce e, poi, il buio.

The Lady Bug di Jane Campion
Attraente è lo schermo più d'ogni cosa.

Artaud Double Bill di Atom Egoyan
Insieme molteplici sguardi.

La Fonderie di Aki Kaurismäki
Il meritato riposo, una pausa evasiva.

Recrudescence di Olivier Assayas
Cosa succede in un film?

47 Ans Après di Youssef Chahine
Un desiderio.

It's a Dream di Tsai Ming-liang
Dolce nostalgia.

Occupations di Lars Von Trier
Un'oasi di libertà e di giustizia.

Le Don di Raoul Ruiz
Surreale dialogo sacro.

Cinema de Boulevard di Claude Lelouch
Grazie Papà; grazie Mamma.

First Kiss di Gus Van Sant
Il primo, vero, bacio.

Cinéma Erotique di Roman Polanski
Impossibile non amarlo.

No Translation Needed di Michael Cimino
Potere!

At the Suicide of the Last Jew in the World in the Last Cinema in the World di David Cronenberg
Biocam inesorabili.

I Travelled 9000 km to Give It to You di Wong Kar Wai
Rosso.

Where is My Romeo? di Abbas Kiarostami
La commozione e l'emozione.

The Last Dating Show
di Bille August
Il cinema è una bugia a fin di bene.


Irtebak
di Elia Suleiman
Il cinema è quello che si vede sullo schermo.


Rencontre Unique
di Manoel de Oliveira
Abbiamo qualcosa in comune, dopo tutto.


A 8944 km de Cannes
di Walter Salles
La distanza non è poi molta.


War in Peace
di Wim Wenders
Pubblico di film.


Zhanxiou Village
di Chen Kaige
Il più genuino ringraziamento al grande schermo.


Happy Ending
di Ken Loach
La magia prima della sala.


* - Nell'edizione dvd suddetta, è presente il corto di Lynch ma, durante la proiezione alla sessantesima edizione di Cannes, al suo posto, era presente un breve dei Coen:

World Cinema
di Joel e Ethan Coen
La scelta condivisa: nascita di un'amicizia.


In definitiva, un film assolutamente imperdibile.
Capolavoro non è, ma la tag era necessaria.

venerdì 18 marzo 2011

Considerazioni su "Videocracy - Basta Apparire" (2009)


"Basta apparire": Gandini non solo l'ha capito bene, ma se ne fa profeta e fautore, truccando (?) la finzione scenica in un elementare documentario, un po' facilone per chi 'ne sa'. 

Indirizzato ad un pubblico estero? Sicuramente. 
Perlomeno se considerato documentario. 
Ma "Videocracy" altro non è che un (sur)reale film lynchiano: grottesco all'inverosimile, terrificante, inquietante, evidentemente atto allo shock audiovisivo.

Ciononostante, non si tratta di uno shock per quello che le immagini mostrano (certo, senza il contenuto delle stesse, il tutto sarebbe meno terribile) ma in quanto orrorifiche per sè stesse, in quanto rappresentazioni.
Una sequela disturbante di rappresentazioni da incubo, talvolta costruite ex novo (ecco la finzione) talvolta riprese ma che, inserite in un contesto di fluida (ma non troppo) continuità, hanno la medesima parvenza di un onirico naufragio in una Twin Peaks post-moderna.

Il fatto che sia tacciato di essere un banale documentario/inchiesta non è del tutto errato; tuttavia il film del buon Gandini (può essere che neanche lo stesso autore l'abbia capito fino in fondo, ma non credo proprio) è obiettivamente la cosa più disturbante che io abbia mai visto da diverso tempo a questa parte.

Disturbante.
E ripeto, non per questioni politiche, sociali o simili: di quelle non ho intenzione di occuparmi.
Un film dell'orrore.
Tratto da una storia vera.

Azz.

mercoledì 16 marzo 2011

The O'Games - Another World

ANOTHER WORLD (1991)


Qua si parla di capolavoro.

Giocato da piccoli è un'esperienza terrificante: i primi dieci minuti sono orrore allo stato puro, selvaggio.

Uno scienziato, a causa di un esperimento mal riuscito, viene catapultato in un altro mondo.

Avventura, azione, horror in clima vagamente cyberpunk che si libera dalle catene dell'immaginario "classico" e ricrea una propria identità e dimensione ben definita, con mostri giganti e alieni civilizzati.

Ma bando alle ciance:



I primi cinque minuti... Che emozione... Da antologia.

Ambientazione da favola tetra e futuristica, narrazione fantascientifica, azione impetuosa, carisma senza pari: fortunato chi potè giocarci su Amiga.

Ma c'è ancora speranza: scaricabile qui.

martedì 15 marzo 2011

Cine? Ma(h)... - I Baustelle

[Potrebbe bastare la foto.]
Noi amiamo Truffaut e Manzoni (Piero, of course).
Noi siamo contro il governo berlusconiano.
Noi parliamo del suicidio.

Viva De Andrè.
Viva gli occhiali quadrati.
Viva le citazioni dotte.
Viva la pacatezza che altro non è che la nostra rabbia.

Noi conosciamo la Storia italiana (la maiuscola, mi raccomando).
Noi siamo gli eredi della vera Musica italiana.
Noi siamo figli abortiti di Baudelaire.

Indie-revolution.

Me ne rendo dannatamente conto che in alcuni aspetti sono un Baustelle (a scelta), ma non c'è nulla di più detestabile del finto-impegno intellettuale. 
La costruita seriosità stroppia.
Chi lo diceva che i difetti che negli altri ci danno più fastidio sono in realtà i nostri stessi difetti?
Ecco, appunto.

Esempio cinematografico? Un po' tutti i film "politicamente o socialmente impegnati" (che ne so, "Precious"). 
Mah.

lunedì 14 marzo 2011

Recensione: The Last Horror Movie (2003)


(Meta)cinema o realtà? Julian Richards filma, letteralmente, le gesta di Max, cameraman (ai matrimoni) col vizio del sangue.

Filosofia di una lama che viene impartita allo spettatore della doppia (o tripla?) finzione, spettatore che prende atto della ferrea logicità matematica e non può che accettare ciò che vede, e diventarne complice e sadico co-autore.

Delitti amatoriali ma non troppo, e con un certo gusto estetico del 'nature', spiegati per filo e per segno, con decisi ammiccamenti post-Scream che, nel loro essere sopra le righe (interpretazione fin troppo sentita, quella di Kevin Howarth...), convincono, coerentemente, e suscitano interrogativi (in)diretti insospettabili, con echi craven/hooperiani.

Tra tesi universitaria e teatro, tra killer movie e mockumentary, originale (?) dialogo con un lucido serial killer: da noleggiare, ma chiudete bene le porte di casa.