domenica 27 marzo 2011

Ineditime: The Final (2010)

Districarsi tra i banchi di scuola non è facile, e Joey Stewart lo sa bene: impianto prospettico ambiguo, ma pulito, saturo e luminoso, come un diabolico piano tenuto segreto.

"Lunga vita alla giustizia!" con senso del Divino; la notte scorre veloce e pesa sull'attesa, e il non visto è funzionale all'accumulo di tensione (pressochè costante) nonostante si sappia già chi c'è behind the mask: due tratti di caratterizzazione, deliri di personalità (e presunta maturazione annessa, of course) e l'immedesimazione è servita.

I gore seekers ne stiano lontani, qui si va a casa 'violenza psicologica', a cavallo tra torture porn, slasher e revenge movie, sotto l'egida di nonno Scream e papà All the Boys Love Mandy Lane, insieme a mamma Psicanalisi (?) e la sua dialettica (abusata) di vittima/carnefice interchanged.

Sfilata di maschere cool ed impietosa crudezza studentesca (in tutti i sensi): esame passato.

Troppo inglese, ho esagerato.

sabato 26 marzo 2011

Ineditime: La Meute - The Pack (2010)

La francese Nouvelle Vague d'Horreur continua a vomitare figli brulicanti.

Cura tecnica encomiabile (fotografia del sempre fidato Laurent Barès) in contesto rurale, con condimento redneck: il succo (nero) che Franck Richard ci fa ingurgitare nella sua opera prima è questo.

Scontato? Due fattori lo tengono sollevato una spanna da terra: una decisamente coraggiosa mistura di demenzialità (voluta) e seriosità, che lascia interdetti, e una variatio generis che permette ad un nuovo sottogenere (?) di (ri)sorgere dal sottosuolo.

Garantiscono Philippe Nahon (che gigioneggia) e Yolande Moreau (che convince, eccome): sani effetti artigianali, inquadrature (ma non montaggio e sceneggiatura) da manuale e paesaggi nebbiosi e sporchi.

Non molto convincente, ma tant'è, sulla rossa scia del nuovo millennio orrorifico.

Qualcuno storcerà sicuramente il naso, dicendone di tutti i colori: beh, non è detto che non abbia ragione ma, già solo per la presenza di Nahon, va visto. E poi io, di un pacco, amo quasi più l'incarto che il contenuto, pochi cazzi.

venerdì 25 marzo 2011

Libroteca: "Firmino - Avventure di un Parassita Metropolitano" di Sam Savage (2006)


" [...] All'inizio mi avventavo senza andare troppo per il sottile, in modo indifferenziato, abbandonandomi a un'orgia insaziabile - un boccone di Faulkner era come un boccone di Flaubert, per quel che mi riguardava. Ma presto cominciai a notare delle sottili differenze. Notai, prima di tutto, che ogni libro aveva un sapore diverso: dolce, amaro, aspro, agrodolce, rancido, salato, agro. Notai, anche, che ciascun gusto - e, con il passare del tempo e l'acuirsi dei sensi, il sapore di ciascuna pagina, frase e infine parola - portava con sé e suscitava nella mente un insieme di immagini e rappresentazioni di cose di cui non sapevo nulla [...] "

Ratto pervertito o accanito lettore? La storia di un sorcio putrido, rachitico e raffinato, amante dei porno e di Joyce, eterno sognatore e caustico disilluso.

Divora (letteralmente) libri su libri, Firmino, li ama, li possiede, figurandosi un ballo sensuale con la Bellezza Ginger, immaginando di andare a trovare qualche Grande della letteratura nella sua casa parigina, esplorando i lembi estremi della fantasia. Con spirito umano.

Piacevole e talvolta spiazzante (in alcune tematiche) autobiografia, che erutta amore per la poesia e la prosa, ma anche il cinema, e l'arte tutta, scritta con uno stile leggero ma ricercato, che cresce d'intensità lirica pagina dopo pagina, accompagnando il conseguimento di esperienza autoriale, e di vita.

Qualcuno potrebbe trovarlo ripetitivo, banale, noioso, come i modi di dire di un vecchio amante della fantascienza, altri ci vedrebbero una fiaba (per adulti) con umorismo nero e riflessioni ironicamente ciniche, altri ancora apprezzerebbero gli infiniti omaggi e riferimenti ai propri libri preferiti (anche minori).
Ma, in fondo in fondo, è solo una lunga e genuina serenata di un innamorato.

Recensione: Adrenaline (1990)


Folle distillato di brevi segmenti grotteschi, corpo unico di un delirante progetto collettivo francese, "Adrenaline" si configura come apripista (e unico elemento?) di una corrente sociopolitica di un umorismo caustico, amaro e macabro, in cui i riferimenti al reale sono elementi fondanti più che evidenti.

Dalle macchine che ci conducono, amiche, alla distruzione, alle videocamere che divorano la nostra immagine; dalla televisione impazzita cui serve un esorcismo, all'effettiva realizzazione di un'opera d'arte; dalla difficoltà nell'acquisto di un'abitazione oggi, alla stessa che non può che schiacciarci: il sangue esplode, i ghigni si sprecano, le idee non mancano.

Micro-sezioni a sé stanti, come organi autonomi di un uomo seviziato, le cui giunture saltano, rimpiazzate da lillipuziani (e sfiziosi) affreschi di rara cattiveria quotidiana, con improvviso effetto doubt.

Ambiguo e beffardo trapezista, perennemente in bilico tra denti stretti e denti "battenti": delizioso.

Lista degli episodi/corti:
- Les Aveugles - I Ciechi di Anita Assal e John Hudson
- Metrovision di Yann Piquer
- Revestriction di Barthélémy Bompard
- Graffiti di Barthélémy Bompard
- Le Cimetiere des Elephants - Il Cimitero degli Elefanti di Philippe Dorison
- Embouteillage - Imbottigliamento di Barthélémy Bompard
- Corridor - Corridoio di Alain Robak
- Interrogatoire - Interrogatorio di Yann Piquer e Jean-Marie Maddeddu
- Urgence - Urgenza di Yann Piquer e Jean-Marie Maddeddu
- La Derniere Mouche - L'Ultima Mosca di Yann Piquer e Jean-Marie Maddeddu
- T.V. Buster di Anita Assal e John Hudson
- Cyclope - Ciclope di Anita Assal e John Hudson
- Sculpture Physique - Scultura Fisica di Yann Piquer e Jean-Marie Maddeddu

Una chicca.

domenica 20 marzo 2011

Recensione: Chacun Son Cinéma - To Each His Own Cinema (2007)


La locandina recita "Une déclaration d'amour au grand écran" (una dichiarazione d'amore al grande schermo), e "Chacun Son Cinéma" è proprio questo: un sentitissimo omaggio da parte di trentatre (in realtà trentaquattro) registi affermati all'Arte che li ha consacrati.

In ordine cronologico (versione dvd StudioCanal*), un breve commento per ognuno:

Cinéma d'été di Raymond Depardon
La proiezione: comunione collettiva.

One Fine Day di Takeshi Kitano
Una giornata nella sala oscura.

Trois Minutes di Theo Angelopoulos
Innamorarsi non è mai finzione.

Dans le Noir di Andrei Konchalovsky
Nell'oscurità, l'amore vero e l'amore fittizio.

Diario di uno Spettatore di Nanni Moretti
Ironia autobiografica sul presente (e futuro) del cinema.

The Electric Princess Picture House di Hou Hsiao-hsien
La gioia dei fantasmi risuona vibrante nel vuoto.

Dans l'Obscurité di Jean-Pierre e Luc Dardenne
Il cinema. La nascita delle emozioni.

Absurda di David Lynch
Lo specchio di ieri, oggi e domani.

Anna di Alejandro González Iñárritu
"Was the film black and white?" "No, it was in color."

En Regardant le Film di Zhang Yimou
Aspettare.

Le Dibbouk de Haifa di Amos Gitai
Il rapimento della luce e, poi, il buio.

The Lady Bug di Jane Campion
Attraente è lo schermo più d'ogni cosa.

Artaud Double Bill di Atom Egoyan
Insieme molteplici sguardi.

La Fonderie di Aki Kaurismäki
Il meritato riposo, una pausa evasiva.

Recrudescence di Olivier Assayas
Cosa succede in un film?

47 Ans Après di Youssef Chahine
Un desiderio.

It's a Dream di Tsai Ming-liang
Dolce nostalgia.

Occupations di Lars Von Trier
Un'oasi di libertà e di giustizia.

Le Don di Raoul Ruiz
Surreale dialogo sacro.

Cinema de Boulevard di Claude Lelouch
Grazie Papà; grazie Mamma.

First Kiss di Gus Van Sant
Il primo, vero, bacio.

Cinéma Erotique di Roman Polanski
Impossibile non amarlo.

No Translation Needed di Michael Cimino
Potere!

At the Suicide of the Last Jew in the World in the Last Cinema in the World di David Cronenberg
Biocam inesorabili.

I Travelled 9000 km to Give It to You di Wong Kar Wai
Rosso.

Where is My Romeo? di Abbas Kiarostami
La commozione e l'emozione.

The Last Dating Show
di Bille August
Il cinema è una bugia a fin di bene.


Irtebak
di Elia Suleiman
Il cinema è quello che si vede sullo schermo.


Rencontre Unique
di Manoel de Oliveira
Abbiamo qualcosa in comune, dopo tutto.


A 8944 km de Cannes
di Walter Salles
La distanza non è poi molta.


War in Peace
di Wim Wenders
Pubblico di film.


Zhanxiou Village
di Chen Kaige
Il più genuino ringraziamento al grande schermo.


Happy Ending
di Ken Loach
La magia prima della sala.


* - Nell'edizione dvd suddetta, è presente il corto di Lynch ma, durante la proiezione alla sessantesima edizione di Cannes, al suo posto, era presente un breve dei Coen:

World Cinema
di Joel e Ethan Coen
La scelta condivisa: nascita di un'amicizia.


In definitiva, un film assolutamente imperdibile.
Capolavoro non è, ma la tag era necessaria.

venerdì 18 marzo 2011

Considerazioni su "Videocracy - Basta Apparire" (2009)


"Basta apparire": Gandini non solo l'ha capito bene, ma se ne fa profeta e fautore, truccando (?) la finzione scenica in un elementare documentario, un po' facilone per chi 'ne sa'. 

Indirizzato ad un pubblico estero? Sicuramente. 
Perlomeno se considerato documentario. 
Ma "Videocracy" altro non è che un (sur)reale film lynchiano: grottesco all'inverosimile, terrificante, inquietante, evidentemente atto allo shock audiovisivo.

Ciononostante, non si tratta di uno shock per quello che le immagini mostrano (certo, senza il contenuto delle stesse, il tutto sarebbe meno terribile) ma in quanto orrorifiche per sè stesse, in quanto rappresentazioni.
Una sequela disturbante di rappresentazioni da incubo, talvolta costruite ex novo (ecco la finzione) talvolta riprese ma che, inserite in un contesto di fluida (ma non troppo) continuità, hanno la medesima parvenza di un onirico naufragio in una Twin Peaks post-moderna.

Il fatto che sia tacciato di essere un banale documentario/inchiesta non è del tutto errato; tuttavia il film del buon Gandini (può essere che neanche lo stesso autore l'abbia capito fino in fondo, ma non credo proprio) è obiettivamente la cosa più disturbante che io abbia mai visto da diverso tempo a questa parte.

Disturbante.
E ripeto, non per questioni politiche, sociali o simili: di quelle non ho intenzione di occuparmi.
Un film dell'orrore.
Tratto da una storia vera.

Azz.

mercoledì 16 marzo 2011

The O'Games - Another World

ANOTHER WORLD (1991)


Qua si parla di capolavoro.

Giocato da piccoli è un'esperienza terrificante: i primi dieci minuti sono orrore allo stato puro, selvaggio.

Uno scienziato, a causa di un esperimento mal riuscito, viene catapultato in un altro mondo.

Avventura, azione, horror in clima vagamente cyberpunk che si libera dalle catene dell'immaginario "classico" e ricrea una propria identità e dimensione ben definita, con mostri giganti e alieni civilizzati.

Ma bando alle ciance:



I primi cinque minuti... Che emozione... Da antologia.

Ambientazione da favola tetra e futuristica, narrazione fantascientifica, azione impetuosa, carisma senza pari: fortunato chi potè giocarci su Amiga.

Ma c'è ancora speranza: scaricabile qui.

martedì 15 marzo 2011

Cine? Ma(h)... - I Baustelle

[Potrebbe bastare la foto.]
Noi amiamo Truffaut e Manzoni (Piero, of course).
Noi siamo contro il governo berlusconiano.
Noi parliamo del suicidio.

Viva De Andrè.
Viva gli occhiali quadrati.
Viva le citazioni dotte.
Viva la pacatezza che altro non è che la nostra rabbia.

Noi conosciamo la Storia italiana (la maiuscola, mi raccomando).
Noi siamo gli eredi della vera Musica italiana.
Noi siamo figli abortiti di Baudelaire.

Indie-revolution.

Me ne rendo dannatamente conto che in alcuni aspetti sono un Baustelle (a scelta), ma non c'è nulla di più detestabile del finto-impegno intellettuale. 
La costruita seriosità stroppia.
Chi lo diceva che i difetti che negli altri ci danno più fastidio sono in realtà i nostri stessi difetti?
Ecco, appunto.

Esempio cinematografico? Un po' tutti i film "politicamente o socialmente impegnati" (che ne so, "Precious"). 
Mah.

lunedì 14 marzo 2011

Recensione: The Last Horror Movie (2003)


(Meta)cinema o realtà? Julian Richards filma, letteralmente, le gesta di Max, cameraman (ai matrimoni) col vizio del sangue.

Filosofia di una lama che viene impartita allo spettatore della doppia (o tripla?) finzione, spettatore che prende atto della ferrea logicità matematica e non può che accettare ciò che vede, e diventarne complice e sadico co-autore.

Delitti amatoriali ma non troppo, e con un certo gusto estetico del 'nature', spiegati per filo e per segno, con decisi ammiccamenti post-Scream che, nel loro essere sopra le righe (interpretazione fin troppo sentita, quella di Kevin Howarth...), convincono, coerentemente, e suscitano interrogativi (in)diretti insospettabili, con echi craven/hooperiani.

Tra tesi universitaria e teatro, tra killer movie e mockumentary, originale (?) dialogo con un lucido serial killer: da noleggiare, ma chiudete bene le porte di casa.

domenica 13 marzo 2011

Libroteca: "Destroy" di Isabella Santacroce (1996)


" [...] 'Dalle palle, togliti dalle palle.' Arlette si allontana con l'espressione più sporca che conosce. Le sue scarpe nere sono divine. Siamo divine. Ultradivine e forse più. Ci state guardando. Noi in vendita. Quello che provate non riuscite a decifrarlo. Disgusto, compassione, tenerezza o solo invidia. Anche a voi va, vero? Vorreste scarpe come le nostre. Vorreste vendere quel vostro culo ozioso solo per assaggiare la lusinga dell'essere desiderati. A pagamento, di notte, per strada. Sul marciapiede. Le auto che si fermano per voi. Prestazioni orali o altro. Sarebbe vostra la decisione e non vi capita spesso. Ne avete una fottuta voglia. Ne avete voglia. Una voglia così affilata da starci male. Stringete forte le gambe. Non è ancora arrivato il momento. Come sappiamo muoverci io e Arlette! Adesso camminiamo ridendo, già stanche del gioco. Ridiamo di voi passivi idioti affamati. Non è sera né lo sarà mai. Divine Misty e Arlette. [...] "

Rabbia.
Rabbia e Disperazione, 'sorelle incestuose' della Solitudine.

Una Londra di ectoplasmi grigi riversa bile in occhi brillanti di futuro. E ogni secondo è un crollo, ogni attimo è l'ultimo e non c'è possibilità alcuna.

Distrazioni vaghe, come medaglie al sole, sono ombre di fumo evanescente, onirici, infantili deliri divenuti carne e marciti.

Punti. Punti. Punti. Pause necessarie, prendere fiato e sopravvivere mentre la corda si attorciglia sempre più: il boia sono io, inquisitore di corteccia di spose, mi accanisco contro la società, urlo forte, nessuno mi sente e alzo il volume, Red Hot Chili Jesus e Maria Maddalena.

Amo i manga: mentono.

FUCK OFF DESTROY

Probabilmente il migliore della trilogia, seguito a ruota da "Luminal". 
Nella quarta di copertina c'è la parola 'nichilismo'.
Direi che siamo ben oltre.

venerdì 11 marzo 2011

Recensione: Piranha (2010)


Una festa di splatter-scenes immersa in un lago di ignoranza ammerigana.

Il pupillo Aja ("Alta Tensione", "Le Colline hanno gli Occhi", "Riflessi di Paura") si tuffa, senza prendersi troppo sul serio, in uno Spring Break di sangue, frattaglie e tette, aiutato da un branco di feroci effettisti (tra cui i sempreverdi Berger e Nicotero) che riempiono letteralmente lo schermo di ettolitri (ed ettolitri... ed ettolitri) di emoglobina digitale in tre dimensioni.

Non rimane traccia dell'originale del vecchio Joe: l'omaggio è dichiarato ed esasperato; tutto è in funzione del riciclo degli anni che furono: impossibile, per l'horror-fan del periodo d'oro, non adorare la grandiosa macelleria finale.

Poco importa se gli attori (tra cui un redivivo Christopher Doc Lloyd, un Eli Roth che interpreta evidentemente sé stesso, un maremoto di donne poco vestite, e un incredibile Paul "Human Giant" Scheer) hanno sempre la stessa espressione, se la CGI è, a tratti, orripilante, e se altro non è che un giocattolone per ragazzetti (necessariamente maschi) con brufoli sulla schiena: qui, il divertimento è di casa.

Altissimo tasso di intrattenimento ignorante: astenersi Baustelliani convinti.

giovedì 10 marzo 2011

Considerazioni su "Amanda Knox - Murder on Trial in Italy (2011)"


Premetto che si tratta di un thrillerino televisivo guardabile e che scorre via veloce. Da noiosa serata estiva. Ma non è questo il punto.

Questo FILM è nient'altro che un atto di terrorismo.
Sì, un atto di terrorismo giudiziario. Non mi vengono paragoni.
Tal Robert Dornhelm (o chi ha scritto la sceneggiatura) non solo decide di mettere in scena (dunque SPETTACOLO ma non di finzione) una tragedia recentissima, ma si permette di più: prende una posizione.

Decide di dare, con un film tv (che hanno seguito più di due milioni di spettatori alla prima televisiva), una sentenza giudiziaria, schierandosi amabilmente da una delle due parti.
Così, a cuor leggero.

E non si tratta di essere bacchettoni, bigottoni, cagacazzo o simili: il processo è ancora in atto. E' ANCORA IN ATTO, rendiamoci conto; "cià che spalmiamo un po' di merda su un lato del panino".

Subdolamente e infidamente la soluzione ci è data: è assurdo. Magari c'avrà pure ragione, ma forse è il caso di evitare di sparare a zero?
Voglio dire: il dubbio è cosa positiva e necessaria, ma tra il dubbio e la soluzione dello stesso ce ne passa di acqua sotto i ponti.

E il peggio è che l'aria da dubbio la vorrebbe avere! Mostra entrambe le facce della medaglia, certo, ma con due pesi e due misure.

Quando si fa cinema, a quei livelli (dieci milioni di budget, una stella come Hayden Panettiere e un premio Oscar come Marcia Gay Harden) non ci si può permettere una presa di posizione così forte e radicale su di un argomento così in dubbio e sul filo del rasoio.

Vuol dire sottovalutare (o USARE) il proprio evidente potere a fini terroristici e politici. Per indirizzare l'audience verso una direzione, facendolo indignare per qualcosa che FORSE e ripeto FORSE è un'ipotesi scandalistica.

Ma forse sto esagerando.

Recensione: I Diavoli - The Devils (1971)

Locandina da LaSchighera
Ascesa.
Un Vangelo rovesciato, carnale, seicentesco. 

L'Apogeo.
Unione. Rinnegato ogni passato.

Naturale declino.
Il corso del fiume Crono; funereo morbo.

I nuovi re.
Lo stupro del Messia: inizio.

Martirio.
Testimonianza del regno di Dio.

Obliterare.

Fuori dal tempo, dentro allo spazio. Ken Russell configura anacronismi perfettamente leciti, marchiando il fuoco dei sensi con un coro (demoniaco) di sessualità repressa e soppressa, in un dantesco (e, successivamente, pasoliniano) "paese" francese. 

La massa ingoia e rigurgita corpi appestati e compressi, quasi fosse necessaria una sintesi in fossa comune: vige l'uguaglianza, e la pace.

Comunità. Di visioni e di vedute. Come una corte di giustizia il cui verdetto è già scritto: gli eventi corrono inevitabili, sullo sfondo impietoso di un'asetticità cadaverica e morbosa, malata alla radice (evidente l'impronta dell'eccezional scenografo Jarman, o viceversa?).

Senza incontri, la battaglia tra la monaca Jeanne e il carismatico Grandier (che interpretazione di Oliver Reed), parti (opposte) della stessa matassa, vinti e vincenti, intrappolati e liberati dal rubino della sofferenza.


martedì 8 marzo 2011

Libroteca: "Fluo - Storie di Giovani a Riccione" di Isabella Santacroce (1995)


" [...] Ieri pensavo solo a correre, stanotte voglio non muovermi e guardare la luna color luce che arriva su questa riviera giovane mangiando un altro giorno mentre io quaggiù posso solo guardare e sperare che qualcosa sia successo e che qualcosa succederà prima che anche l'ultimo giorno che mi resta entri per sempre nella sua pancia.
Voglio che il mio cuore batta sempre e voglio la vita addosso, il cielo sopra, la sabbia sotto e l'amore sempre tra le mani come un gelato al limone mangiato in riva al mare in un pomeriggio di maggio quando il più bello sta per cominciare e continuare come prima, così veloce e così immortale."

Eruzione di cultura anni Novanta, (s)vestita di aspro e amaro.

La riviera romagnola, in un caldo assassino, appiattisce e conforma: solo con un caschetto viola si può continuare a vedere il tramonto emergendo dalle buie acque marine.

Tra topless e orgasmi (non) consumati, la noia di un'estate infinitamente senza identità e indefinitamente identica.

Ribolle di popolar-italiano, ribolle, sfrenata, di angoscia e squallore, una "nazione" senza pudore nella sua epide(r)mica lotta contro sè stessa, per una sopravvivenza da giungla concreta, in un corale Inferno che risuona di campane in giubilo, festante.

Romanticismo sniffato e urlato in riva ad un patrigno mare glaciale.
Che soffoca e inghiotte.

Il 31 agosto: l'alba.

Non mi ha convinto molto (sembra un po' fine a sè stesso e ripetitivo), ma l'ultima pagina vale e illumina(l). 
Che amarezza.

domenica 6 marzo 2011

Ineditime: La Casa Muda - The Silent House (2010)

Genuino.

Dall'Uruguay, la nottata di un padre e della figlia nella futura casa di famiglia. In piano sequenza.

L'espediente, ormai abusato (Nodo alla Gola, Arca Russa), confluisce nel puro genere orrorifico senza il mezz(ucci)o del mockumentary.

"Volpe" Gustavo Hérnandez, furbescamente, reinterpreta tutti i clichè del sottogenere 'casa infestata' senza nasconderli, anzi, strizzando l'occhio (o l'obiettivo?) all'horror-fan con giochi di luce (cinerea la fotografia di Pedro Luque), di inquadrature (sodalizio specchi-suspense fatto proprio in modo decisivo) e di suggerimenti (indizi che, retroattivamente, assumono nuove valenze, come nella miglior tradizione thriller).

L'andirivieni del fuoco (della camera) a braccetto con la costante ripetizione delle stranianti note di pianoforte ci (ri)accompagna nell'abitazione, in un saliscendi di tensione e attenzione che si alternano emergendo dall'ansiogena fatiscenza della casa 'dei silenzi'.

Abolita ogni velleità artistica: dal manuale del terrore, esperimento riuscito.

A dirla tutta non è il primo piano sequenza horror: già nel 2005 Albert Pyun girava il (per me) cult "Infection". Ma anch'esso usava il linguaggio del cinema-veritè con la camera di servizio di una macchina della polizia.

"La Casa Muda" non è nulla di tutto ciò, il piano sequenza è usato come mezzo. Nessuna documentazione oggettiva.

(Entrambi) Da vedere. Al buio.

sabato 5 marzo 2011

Recensione: Hereafter (2010)


La camera sale, si alza: non rimane al piano terra, decide di andare oltre. Aldilà.

Aldilà del terrore, del dubbio (concreto), dell'insicurezza; scollandosi di dosso il cartellone pubblicitario del sè-immagine-passato, eternamente (?) alla ricerca di risoluzioni terrene di questioni ideali, perchè forse neanche ce n'è, di risposte.

Il confino di una stanza piena di poster o di fotografie tiene (rac)chiusi in sè stessi, condiziona: travalicando l'ingresso le scelte sono molteplici, ma solo una è la Vita.

Intensità terrena si infrange dinanzi ad un vecchio coltello da cucina portato da casa, ma c'è stata, era tangibile, presente. Nullificata dall'anamnesi, ma c'era.

Un uomo, una donna, un bambino toccano, portandone le vesti, la fine. E riabbracciano l'inizio, una ri-nascita che comporta l'assimilazione dello ieri, la consapevolezza del domani, filtrata attraverso l'azione dell'oggi.

Assaporare. Amare. Vivere.

Fisicità, quotidiana dimensione: ora.

mercoledì 2 marzo 2011

Libroteca: "Luminal" di Isabella Santacroce (1998)


 [...] Forse fu quella la prima notte degli eccessi e il vino abbondava sulle pietanze barcollavo fino al water inginocchiandomi c'era sempre chi voleva baciarmi in bocca nonostante rigettassi continuamente la mia lingua veniva cercata con ardore leccata riversa sul divano veloci vortici risucchiavano resistenze sverginandomi i gorilla saltavano dappertutto delirando vidi Dio trapezista senza rete sotto sfidare la morte volando. [...]

Funebre poesia agonia lirica.

Sperimento
droghe morfeiche in orge di angeli posseduti.

Amore cercare in sperma vuoto un disco di David Bowie assaporo intonaco teutonico sfogliando ali di libellule e pipistrelli e lontani tacchi metallici lillà barbie-arancia-meccanica che violate ematomi reiterati godono and again and again.

And again.
Anticamera della schiavitù oversize overdrive sangue lunare prodigio avvitare tra i bagliori di Cronenberg friabile.

Volume alto volume alto volume alto volume alto volume alto volume alto.

Eterna Polaroid Specchio.
Mamma...

Un omaggio/recensione/compendio. Solo che la Santacroce scrive da Dio.
Yin e yang: da amare.

Cine? Ma(h)... - Il Pane

Immagine da YummyDelicious

Prima di tutto, dire il non detto: io amo il pane.
Ebbene sì, ne mangio prima, durante e fuori dai pasti. Ovviamente senza nient'altro.

Il pane è buono, semplicissimo da fare e da mangiare, costa poco e riempie; impossibile non amarlo.
Fanno pure le rivolte perchè non si alzi troppo il prezzo di questa cheap-leccornia.

Il fatto è che, a furia di ingurgitare solo pane, si finisce al Creatore. Il cervello finisce al Creatore.
La verdura e i salumi non sono malaccio, eh! E manco il formaggio, i dolci, la stessa merda...

"Mmmmmmhhh, ma il pane è buoooono!".
Sì, ma basta.

Capiamoci: cosa intendo con il pane? Divertimento a "cervello spento" (per usare una formula in voga), che puoi seguire con un occhio sì e l'altro su Facebook, solitamente horror o commedie o horror commedie. 

Eccone un bell'esempio pregiudizioso come piace a noi. 

Ocho ai carboidrati.