giovedì 23 giugno 2011

Recensione: Drive (2011)


"A real human being, and a real hero": Winding Refn ci conduce lungo strade che, nello loro luminosa e sacra semplicità, ci investono di una straordinaria potenza emotiva.

La nitidezza di una regia composta, narrativamente sopraffina, sommessa, ma enorme, si accompagna allo stupendo policromatismo di una messinscena di prorompente eleganza e di pacata violenza, in cui è la musica (incredibile) a frastornare il cuore, come se ascoltassimo le nostre canzoni e vedessimo le nostre storie.

Crimine e amore si imprimono definitivamente, come una ferita profonda, sullo spettatore, stravolto e felicemente appagato dell'esasperata partecipazione emotiva cui è sottoposto: le straordinarie sequenze (di inseguimento, d'azione, d'amore) si susseguono in una mitopoiesi totale del Guidatore che emerge dalla potenzialità del clichè come eroe di una nuova era.

Ed è la dolce freddezza di un Ryan Gosling granitico a garantire la scultorea firma di un Film capace, finalmente, di parlare non più alla razionalità, ma al cuore.

Sono consapevole dell'evidente scarsezza di questa recensione, ma è impossibile parlarne obiettivamente. Quando si esce dalla sala col cuore in gola e le lacrime agli occhi, non si può parlare con la testa. 
Un film che ti fa rinnamorare del Cinema e dell'arte di creare emozioni, brividi, partecipazione.
Davvero.

EDIT: Due clip per entrare nel mood.





E vabbè...

venerdì 10 giugno 2011

Recensione: Melancholia (2011)


Sconfortante e scomodante proiezione di futuribili catastrofi, annichilente inevitabilità di predestinazioni: in quella che è la sua Fin Absolue du Monde, Von Trier, (in)castra, in un inequivocabile e disperato dittico con la sua precedente opera (lirica), la scrosciante grandine dell'inconscio femminile e l'infantile pochezza dell'avvilente universo (?) maschile (il campo medio del marito seduto, seminudo, sul letto matrimoniale è di una potenza esemplificativa strepitosa) confinando lo spazio (umano) con opprimenti volti ravvicinati che lasciano il Vuoto, ingombrano il quadro, soffocano.

La bipartizione secca dello scontro tra due pianeti lontani ma prossimi alla collisione (interpretazioni da premio quelle di Kirsten Dunst e di Charlotte Gainsbourg) è risolta con graduale messa a fuoco del rapporto di grandezza tra le parti, profeticamente preannunciata nell'esasperato e cripticamente desolato prologo di gravosa veemenza da romanticismo ottocentesco e coadiuvata dall'utilizzo protratto e (non più) dogmatico del montaggio (impetuoso, asfissiante) e della macchina a mano.

Ed è l'arida prospettiva (mancante) di una qualsivoglia via di fuga (sia essa il rapporto di coppia, l'amore, la famiglia, il lavoro) che, nietzscheanamente, permette di accettare la sublime tragicità della vita. E di subire, consapevoli e desiderosi, la potenza, catartica, della (nostra) Natura.

lunedì 6 giugno 2011

La Retrospettiva del Mese - Simon Rumley

Del mese? Ormai rimane solo il nome altisonante e ridondante e che suona bene.


SIMON RUMLEY: L'ORRORE DELLA CONCRETEZZA

La malattia, il cancro, il sentirsi vivi, ritratti di tangibili esperienze. Rumley porta di peso i suoi ricordi e li trasfigura in film dell'orrore atipici, strani, diversi, in interrogativi obbligati e perentori, impossibili da scansare.

TLTD - THE LIVING AND THE DEAD (2006)

Copertina del dvd italiano.
Nuclei familiari come quadri scaraventati con violenza al suolo: spezzati, infranti, che è possibile rincollare ma la cui unità originaria (?) non tornerà mai. La malattia frantuma la cornice, e il linguaggio non può che seguirne la carcassa, in un'escalation drammaticamente lucida. 

Cavalletto, pianoforte, accoglienti e amorevoli. 
Primi piani, spaccatimpani, a schiaffo, isterici.

L'accento inglese ci rimanda alle commedie umoristiche del Regno Unito, il montaggio al primo Tsukamoto: l'instabilità da diegetica diventa extradiegetica, la coincidenza tra istanza narrante e mondo narrativo è sviluppo stesso della vicenda.

Una foto color seppia, sbiadita, ed un sogno sovraesposto, luminosissimo; l'alba giunge e l'oscurità permane per poi sparire nel tramonto; strepitoso, Leo Bill, nel ruolo del figlio ritardato, il cui ruolo cambia con l'avanzare dei minuti, ci impone uno sforzo di distacco/immedesimazione che ha del formidabile. Sentirsi necessari per sentirsi vivi.

" [...] His soul swooned slowly as he heard the snow falling faintly through the universe and faintly falling, like the descent of their last end, upon all the living and the dead." 
James Joyce (da 'Gente di Dublino')

RED, WHITE & BLUE (2010)


Rosso: la carne, la passione, il sangue. Materialità di polvere, di granelli che, in volo nell'aria, si incontrano, scontrandosi. E la forza dello scontro li allontana. Il jump cut, la struttura, la macchina mai ferma osservano i personaggi e le loro emotività impetuose e devastanti. 

Bianco: l'innocenza e il giudizio. L'azione e il controcampo, nei rapporti di coppia, nella famiglia: il quadro abbraccia, il gesto ha senso solo nella sua rappresentazione totale. La madre malata con il figlio bisognoso, chi si ama davvero, vivere un sentimento all'interno di una casa, e dentro al proprio corpo (rosso), e qui sentirsi finalmente vivi. Dormire.

Blu: giustizia e libertà. Come il cielo, essere quello che si è, il proprio passato. Una famiglia? Il fuoricampo brucia il tempo della fruizione, reale, in piano sequenza. E ancora il pianoforte, "distorto", spiega la lettura dell'inevitabile fatalità del destino.

E la bandiera dai tre colori continua a sventolare.

In definitiva, Simon Rumley, nel "disidratato" della sua rappresentazione (mai retorica), risulta tappa a cui sostare, se si vuole toccare con mano l'orrore vicino, del concreto.

Microretrospettiva, ma a sto giro va così.
Con calma si arriva. Gradualmeeeente.

sabato 4 giugno 2011

Ineditime: Zoo (2007)

Kenneth Pinyan, deceduto dopo aver avuto un rapporto anale con un cavallo: arduo non cadere nelle facili scappatelle dell'exploitation di basso profilo, difficile trattare l'argomento (zoofilia) evitando mezz(ucc)i come l'ironia o lo scandalo moralistico.

L'eleganza sopraffina del 16mm ascolta le testimonianze, tenendosi presente, scegliendo di non mettersi in disparte, inscenando e interpretando la visione propria dei protagonisti, la loro morale, il loro amore, vero e supposto.

Robinson Devor, recuperando le (reali) interviste audio ai protagonisti della vicenda, specchia un flusso temporale (dis)continuo che, dalla bipartizione evidente tra suono (ininterrotto, proseguito) e immagine (ricca di ellissi, di salti), si fa ricordo, esperienza (smodato l'uso del ralenti non come enfasi ma come fissante, che enfatizza).

Il tempo della narrazione, la fotografia pittorica e curatissima, quasi poetica, le brevi panoramiche degli ambienti, la collisione tra luce nascosta e buio visibile, elementi di ulteriore forza di aneddoti disturbanti, scenografie putrescenti, psicologie deviate: parallele amalgamate, apparentemente lontane ma unite, in un singolo disegno i cui piani sovrapposti rendono maggiore lo spessore destabilizzante, come in un abbraccio non ricambiato.

Documentario di alto livello.

So che la metà di chi capiterà su questo post vorrà un bel pornazzo o un film disturbante con sesso con i cavalli e roba simile.
Beh, sulla rete si trovano le imprese filmate di Kenneth aka Mr.Hands.
A me interessa il cinema.

giovedì 2 giugno 2011

Recensione: The Ubaldo Terzani Horror Show (2010)


Gabriele Albanesi, dopo "Il Bosco Fuori", sforna il suo secondo sfilatino speziato: Stivaletti agli effetti speciali, strizzatine d'occhio al cinefilo (da Bava alla Rarovideo), camei familiari (Manetti e Flaminio Maphia a rapporto) e chiaramente qualche bello squartamento old school.

Operazione revival ma, nel piatto, rimane ben poco per cui essere sazi: un pass(ettin)o in avanti nella cura tecnica, ma non basta, urge un salto di qualità definitivo, e la fotografia monocorde (a parte qualche verde argenteo qua e là) insieme alla scarnezza del digitale e al comparto attoriale deficitario (insalvabile pure Ubaldo) ne è la mogia copertina.

Plauso alla battuta finale del produttore che chiude il cerchio (interessante) che aveva il suo reale presente all'inizio della vicenda (autobiografia annunciata); il resto, tra mediocrità e scontatezza, purtroppo, e duole dirlo, dà un immediato effetto post-eccessi-da-festa-vip: occhio all'amnesia a breve termine.