venerdì 25 febbraio 2011

Recensione: Non Desiderare la Donna d'Altri (2004)


O più semplicemente (e in modo più denso) "Brothers" (da cui è stato tratto l'omonimo remake USA nel 2009).

Fratelli.
Un inscindibile legame di sangue, un vincolo obbligato ma non unilaterale, biunivoco, reciproco, tra due persone che si amano.

Il mezzo non altera ciò che vediamo: i residui del Dogma vontrieriano si vivono sulla propria pelle, come una lunghissima prigionia di pochi giorni. Una visione obiettiva (?), d'insieme, in un orrore quotidiano, latente, in un anello di alterazioni mentali causate dal dolore reale.

Dolore che scava, e muta, e spezza, e colpisce: l'inversione/sostituzione di un soldatino di piombo con uno di latta non cambia l'esito della battaglia. Quello che cambia è la composizione stessa della materia: dapprima solida, rocciosa e delineata, poi rapidamente liquida (informe) e poi eterea, difficilmente percebile, forse assente.

Primi piani, dettagli, luci, minuziosa (ri)costruzione inconscia di una consuetudine sconcertante: vento che soffia in campi di grano, la chiusura di un occhio. Le increspature di un lago.

L'amaro di una cena familiare.

Non è un bellissimo film, ma è abbastanza riuscito.
Ottime le interpretazioni (e d'altronde un film del genere si basa al 90% su queste) e funzionale lo stile dogmatico, peccato per l'eccesso ridondante di musiche.
 
Straziante e angosciante l'ultima parte: grande forza di coinvolgimento.

martedì 22 febbraio 2011

Racconto: Catarsi

Ispirato ad A.S. (si ringrazia B.R.)

Sorseggiava avidamente l’ultima sua opera. Nel letto. L’Università di Berlino l’aveva chiamato per quello scritto. Lui lo considerava “il Capolavoro”.
Lo volevano come insegnante: il suo pensiero era così dannatamente nuovo, così meravigliosamente straordinario. Uno spartiacque.
Prese, tronfio, un bicchiere e lo colmò con vino italiano. Ne bevve, re trionfante e novello apostolo.
Lo alzò, consapevole, sul tavolo d’ambra: riluceva del sole di Danzica, dell’antica Persia e dell’alto cremisi delle pietre d’Oriente. Era un dono: nelle ultime settimane, sempre più, diveniva un appartamento principesco, ricco, rosso.

Lungi dall’abbandonarlo, la gioventù gli porgeva i suoi omaggi: fisico asciutto, snello. I ricci gli avvolgevano la fronte, scudo dalla calvizie dei suoi illustri colleghi. Erano passate trentuno primavere ma non la sua, di primavera. Conosceva la filosofia, l’astronomia, l’oratoria e il sesso. “Eros”.
Lo amava. Ed era amato.
Centinaia di donne, aveva accompagnato in una foresta tropicale. Viva e pulsante; non volevano tornare.

Decise di dedicarsi alla lettura del Maestro: dal cassetto in ciliegio estrasse la Critica. Come ogni mattina. Da sette anni. Quell’edizione rilegata, con sigilli in oro, la copertina stampata con caratteri latini. Pagine autorevoli. Una basilica.
Pensava. Non poteva farne a meno, rifletteva sulla logica, le categorie. Trascendentale. (E imprescindibile.)
Stava subendo un ratto: dolcissimo e desiderato, sempre attuale.
Culla e nutrice, quella parola stampata era melodia, riempiva la stanza con un colore raro, pregiato, ricercato, prezioso, caldo. Ah, materna ascesa all’Empireo! Mai ne era sazio; si sentiva trasfigurato, un martire nell’orgasmo, il suo corpo era altrove: l’Ascesi.

Una bestemmia squarcia l’immacolato velo. Stava nuotando in una fonte di acqua cristallina un sorcio putrescente. Il pelo di fogna rilasciava chiazze di merda nera, diabolica.
Riconobbe subito lo stridulo verso: la bestia deforme che soggiornava davanti a lui. Era là, tirava coltellate al “divin Immanuel” con la sua ugola opprimente. Snervante. Sfibrante.
Alzò il tono, come se avesse spiegato le ali: un tacchino, UN TACCHINO, unto e starnazzante. Una violenza esplicita e volgare, rozza. Stava crocifiggendo il Messia. Provò il Golgota.

Portò una mano ai fulgidi capelli e strinse la testa. Chiusi gli occhi, percepì un nuovo “craaaaaa” dal pianerottolo che conduceva all’appartamento. Un anziano tedesco con lacrime di sangue in volto, deriso. Per l’ennesima volta.
Era vibrante, in fremito. Posò sull’arancione il Sacro volume: la mani sconvolte.
Una pantomima fieristica l’accerchiava. La gonna sgualcita, lurida, gli zoccoli logori dalla vecchiaia e quelle orribili mani bucate, dai continui aghi, dalla stoffa cucita insieme, in un mosaico di pochezza contadina che lo sciupava, lo rendeva vecchio, gli privava lo Spirito.
Uno strazio.

S’alzò in piedi, con calma stoica. Nobile. Si diresse alla porta e l’aprì con la destra.
Stava impettita sul pianerottolo, con le caviglie elefantine che gli inglobavano le zampe posteriori. Le volse uno sguardo d’insieme: un manichino obeso, di legno, sudicio. Il divin Immanuel con lacrime di sangue agli occhi. Lo stupro.

S’avvicinò e “lei” lo notò. Biascicò qualcosa di ignorante. Lui stava pulsando.
L’alternanza del sorriso beota della donna e del sangue che sgorgava copioso dal volto del Maestro lo bloccò. Per qualche attimo rimase immobile, assorto: il parossismo era vicino.
Mosse impercettibilmente le dita della mano destra e fece un passo. Il raccapriccio dei rotoli di grasso gli ottundeva le meningi ma mai fu così lucido.

Un attimo. Un singolo attimo e la vecchia cucitrice era rotolata dalla tromba delle scale e giaceva. Ferma. In una chiazza di sporco liquido violastro.
Non vide altro, non gliene importava.
Si sentì lieve.
Un’oasi di libertà e di giustizia.


lunedì 21 febbraio 2011

Recensione: Midori - Chika Gentou Gekiga Shōjo Tsubaki (1992)

Clamoroso.
Durezza estrema (da un folle manga di Suehiro Maruo) che si fa carne sfatta e deforme, violenza psicofisica, brutalità.

Midori, ingannata, si trova in un mondo terrificante e surreale, di freaks (evidente l'ispirazione del celebre film di Tod Browning), di sesso, di violazione e privazione dell'identità personale, di follia: colori brillano sangue e spengono ogni speranza.

Un treno passa, lontano: come in una fotografia, o meglio un disegno, rimane là, opera d'arte e luce lontana, sempre più. Un morente faro.

 (Dis)Illusione e attesa segnano (fisicamente) la breve esistenza della camelia, preziosa, ed inutile è la sua bellezza di fronte all'inesorabile avanzata delle feroci stagioni.

Istantanee.
Istantenee di vita, di una pantomima folkloristica, raggelante, raccapricciante. Tangibile.

Un pessimo trucco di un prestigiatore nano, architettato magistralmente; attraente, penetrante, magnetico, e fasullo, il futuro.

 Un film oltre. Qualcosa di inconcepibile nella mente di un occidentale. Hiroshi Harada con uno stile paurosamente personale, che unisce tavole disegnate (non animate), animazioni folli, scritte, visioni surreali, morbose, folli, fa qualcosa di clamorosamente fuori da ogni schema.

Terrificante, davvero.

venerdì 18 febbraio 2011

Recensione: Wittgenstein (1993)


Un'ora e dieci di film e una persona da raccontare: Derek Jarman, in un non-luogo vuoto e pieno (anticipando l'innovazione vontrierana di "Dogville") che è al tempo stesso mondo, extramondo (o extraterra) e ipermondo, mette letteralmente in scena la vita del filosofo tedesco Wittgenstein. Dall'infanzia alla morte.

La bandiera sventola "Il Mondo è tutto ciò che accade": proposizione trasmigrata (a remi) in una scenografia disadorna ma carica, povera (quantità) e ricca (peso), che sorge dal buio di uno "studio cinematografico" (in realtà teatro) che, con i tenebrosi sipari della mancata esistenza, copre tutto tranne ciò che è.

Leggerezza, consapevolezza, lucidità istintiva e solitudine giocano a domino con la compagnia (amorosa?), il pensiero, la razionalità e il guadagno, inevitabili in una vita normale.

Riduzione è la parola d'ordine; un atto puramente mentale che non libera e non rende liberi.
La logica non sazia la recherche: mai provato due cocktail insieme?
Provare per credere.

"Tu non vuoi essere perfetto?".
Non è nel lavoro manuale, non è nella campagna rurale, non è nell'amore, eppure ci dev'essere una risposta.

Ecco! La perfezione sta nell'imperfezione, nell'ambiguità, nella normalità: ma perchè fermarsi lì?
Lui ama le domande, e, di stare a terra, proprio non gli va.

D'altro canto ha sempre voluto volare.

mercoledì 16 febbraio 2011

Cine? Ma(h)... - I Violini

 L'allegro e d(')istinto signorotto qui sopra è Uwe Boll, regista teutonico considerato il peggiore al mondo.

Ebbene, egli, dopo l'esclusione dal Festival di Berlino del suo ultimo film sull'Olocausto "Auschwitz", ha, tramite la propria casa di produzione Boll KG, dichiarato:

"...Ma se si mostra come fossero realmente, senza necessariamente l'accompagnamento di una orchestra di violini sdolcinati in sottofondo, la vita e la morte ad Auschwitz - e cioè una precisa organizzazione di sterminio di massa - ebbene il film viene bloccato."
 (fonte: Libero.it)

Inutile dire che quest'uomo, considerato il peggior regista del mondo, ha capito TUTTO del 99% del cinema, per usare una parola fastidiosamente falsa, "commerciale".

Una parola che riassume tutto: violini.

Nella meditazione guardatevi pure il trailer del film incriminato (puzza un po' di merda): a presto per il pane.


domenica 13 febbraio 2011

Ineditime: Trolljegeren - The Troll Hunter (2010)

Fare un mockumentary, nel 2010, originale, dopo che i vari "The Blair Witch Project", "Road to L.", "REC", "Cloverfield", "The Poughkeepsie Rec... Ehmmm... Tapes" hanno dato una bella (e definitiva) svolta al genere, è davvero impresa titanica.

Il però è d'obbligo: nel nostro caro continente (con la moneta unitaria), le idee, ma soprattutto le tradizioni da cui trarre buonissimi film dell'orrore con un'identità vera e propria, sono all'ordine del giorno.

Al troll nessuno c'aveva pensato: e chi se non i norvegesi?

Pescando a piene mani dalle leggende e dalle fiabe, ma decostruendone le certezze e ricreandone una propria (decisamente più misteriosa), tal André Ovredal elimina (ma neanche troppo) gli stilemi tipici del genere (l'attesa, il non-visto, la distanza dall'obiettivo che si vuole raggiungere ecc.) inserendoci, in men che non si dica, nel pieno dell'attività del "cacciatore" di troll/notizie.

Montaggio azzeccatissimo (ogni tanto poco giustificato, ma it's only rock 'n roll) e struttura perfettamente ripetitiva (e grazie a Dio, ma meglio non dirlo prima di eventuali spiacevoli incontri, evitata l'aggiunta di musiche ingiustificate), ma fondamentale nel film è l'apporto della cultura nordica: c'è odore (o puzza?) di Scandinavia dal primo all'ultimo frame.

La (ri)produzione di un mondo atavico, millenario, mai così urgente e asfissiante, nella sua (in)visibilità, è messa a fuoco attraverso la lente dei racconti (e delle bugie) che nascondono una verità così evidente da essere non solo sotto gli occhi di tutti, ma ribadita nella Storia di un Paese dal suo principio fino al critico presente attuale.

Un atto d'amore verso la propria Patria, i suoi paesaggi, la propria natura; un atto gratuito e doloroso, come la confessione di una verità mascherata; come le imprese di un eroe che rimarrà per sempre nell'anonimato.

E alla fine ci casco sempre nell'autocompiacimento fine a sè stesso e che fa molto cool, però davvero gran bel film, di cui si trovano i sottotitoli nel nostro idioma e che merita: tensione, effetti speciali che spaccano, interpreti naturali e mockumentary.


Vabbè, il mockumentary "ha rotto il cazzo", ma più in teoria che in pratica. Io ne vado ghiotto.



lunedì 7 febbraio 2011

Recensione: Black Swan - Il Cigno Nero (2010)

 

 Ci sono film che sai già che adorerai alla follia. Quest'ultimo eccezionale film di Darren Aronofsky (sempre più prepotentemente uno dei miei registi preferiti ed uno dei migliori del panorama contemporaneo) è uno di quelli.

Una statua, al centro di un salone vuoto, con ali al posto delle braccia ed il volto coperto: la Nera pressione che Nina subisce macchia (di sangue) il candido abito del Cigno Bianco, che, trasfigurato, spezza lo specchio-immagine di sè, scoprendo la carne che lo (de)compone. 

Ed ecco l'Ordine, a passo di Cajkovskij, che esce di scena a causa della responsabilità voluta (ma realmente desiderata?) e cede il proprio ruolo di prima ballerina al Caos, all'irrazionale, all'emotività.

I movimenti peristaltici della camera a mano ci fanno sentire un orrore profondo, (meta)fisico e latente, frutto (proibito) di un'infanzia prolungata al parossismo da un ruolo-non-ruolo che ci palpita sotto la pelle, e che diviene urgente a tal punto da "fuoriuscire" con violenza inaudita, come se tarpato da anni di morbida prigionia.

L'avvolgono, come il moto circolare di una piroetta, la frustrazione e l'invidia che Nina non trova neppure la forza di sfogare se non sul proprio corpo, svuotandosi (tramite l'estenuante dedizione al sogno di qualcun'altro) e scavandosi con le sue stesse mani, mentre cerca, invano e senza nessuna convinzione, di liberarsi dal personaggio di sè stessa.

La linea di demarcazione è troppo labile, frangibile come un unghia, e quello sarà il prezzo per la propria Libertà: la perfezione dell'annientamento.