lunedì 6 giugno 2011

La Retrospettiva del Mese - Simon Rumley

Del mese? Ormai rimane solo il nome altisonante e ridondante e che suona bene.


SIMON RUMLEY: L'ORRORE DELLA CONCRETEZZA

La malattia, il cancro, il sentirsi vivi, ritratti di tangibili esperienze. Rumley porta di peso i suoi ricordi e li trasfigura in film dell'orrore atipici, strani, diversi, in interrogativi obbligati e perentori, impossibili da scansare.

TLTD - THE LIVING AND THE DEAD (2006)

Copertina del dvd italiano.
Nuclei familiari come quadri scaraventati con violenza al suolo: spezzati, infranti, che è possibile rincollare ma la cui unità originaria (?) non tornerà mai. La malattia frantuma la cornice, e il linguaggio non può che seguirne la carcassa, in un'escalation drammaticamente lucida. 

Cavalletto, pianoforte, accoglienti e amorevoli. 
Primi piani, spaccatimpani, a schiaffo, isterici.

L'accento inglese ci rimanda alle commedie umoristiche del Regno Unito, il montaggio al primo Tsukamoto: l'instabilità da diegetica diventa extradiegetica, la coincidenza tra istanza narrante e mondo narrativo è sviluppo stesso della vicenda.

Una foto color seppia, sbiadita, ed un sogno sovraesposto, luminosissimo; l'alba giunge e l'oscurità permane per poi sparire nel tramonto; strepitoso, Leo Bill, nel ruolo del figlio ritardato, il cui ruolo cambia con l'avanzare dei minuti, ci impone uno sforzo di distacco/immedesimazione che ha del formidabile. Sentirsi necessari per sentirsi vivi.

" [...] His soul swooned slowly as he heard the snow falling faintly through the universe and faintly falling, like the descent of their last end, upon all the living and the dead." 
James Joyce (da 'Gente di Dublino')

RED, WHITE & BLUE (2010)


Rosso: la carne, la passione, il sangue. Materialità di polvere, di granelli che, in volo nell'aria, si incontrano, scontrandosi. E la forza dello scontro li allontana. Il jump cut, la struttura, la macchina mai ferma osservano i personaggi e le loro emotività impetuose e devastanti. 

Bianco: l'innocenza e il giudizio. L'azione e il controcampo, nei rapporti di coppia, nella famiglia: il quadro abbraccia, il gesto ha senso solo nella sua rappresentazione totale. La madre malata con il figlio bisognoso, chi si ama davvero, vivere un sentimento all'interno di una casa, e dentro al proprio corpo (rosso), e qui sentirsi finalmente vivi. Dormire.

Blu: giustizia e libertà. Come il cielo, essere quello che si è, il proprio passato. Una famiglia? Il fuoricampo brucia il tempo della fruizione, reale, in piano sequenza. E ancora il pianoforte, "distorto", spiega la lettura dell'inevitabile fatalità del destino.

E la bandiera dai tre colori continua a sventolare.

In definitiva, Simon Rumley, nel "disidratato" della sua rappresentazione (mai retorica), risulta tappa a cui sostare, se si vuole toccare con mano l'orrore vicino, del concreto.

Microretrospettiva, ma a sto giro va così.
Con calma si arriva. Gradualmeeeente.

2 commenti:

  1. Ben fatta, questa retrospettiva. Tra l'altro noto un chiaro riferimento alla trilogia dei colori di Kieslowski che, non a caso, è composta dai film 'Blu', 'Bianco' e 'Rosso'.

    RispondiElimina
  2. Assolutamente. Credo che il buon Rumley abbia un'ottima cultura cinematografica e lo dimostra chiaramente nell'uso che fa di diversissimi "tipi" di regia: dall'iperbolico del velocizzato, all'introspezione del pittorico, alla potenza sfrenata del primo piano, fino all'autorialità della macchina a mano.

    Ameresti "The Living and the Dead", ne sono abbastanza certo ;)

    RispondiElimina