Ci sono film che sai già che adorerai alla follia. Quest'ultimo eccezionale film di Darren Aronofsky (sempre più prepotentemente uno dei miei registi preferiti ed uno dei migliori del panorama contemporaneo) è uno di quelli.
Una statua, al centro di un salone vuoto, con ali al posto delle braccia ed il volto coperto: la Nera pressione che Nina subisce macchia (di sangue) il candido abito del Cigno Bianco, che, trasfigurato, spezza lo specchio-immagine di sè, scoprendo la carne che lo (de)compone.
Ed ecco l'Ordine, a passo di Cajkovskij, che esce di scena a causa della responsabilità voluta (ma realmente desiderata?) e cede il proprio ruolo di prima ballerina al Caos, all'irrazionale, all'emotività.
I movimenti peristaltici della camera a mano ci fanno sentire un orrore profondo, (meta)fisico e latente, frutto (proibito) di un'infanzia prolungata al parossismo da un ruolo-non-ruolo che ci palpita sotto la pelle, e che diviene urgente a tal punto da "fuoriuscire" con violenza inaudita, come se tarpato da anni di morbida prigionia.
L'avvolgono, come il moto circolare di una piroetta, la frustrazione e l'invidia che Nina non trova neppure la forza di sfogare se non sul proprio corpo, svuotandosi (tramite l'estenuante dedizione al sogno di qualcun'altro) e scavandosi con le sue stesse mani, mentre cerca, invano e senza nessuna convinzione, di liberarsi dal personaggio di sè stessa.
La linea di demarcazione è troppo labile, frangibile come un unghia, e quello sarà il prezzo per la propria Libertà: la perfezione dell'annientamento.
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