lunedì 7 febbraio 2011

Recensione: Black Swan - Il Cigno Nero (2010)

 

 Ci sono film che sai già che adorerai alla follia. Quest'ultimo eccezionale film di Darren Aronofsky (sempre più prepotentemente uno dei miei registi preferiti ed uno dei migliori del panorama contemporaneo) è uno di quelli.

Una statua, al centro di un salone vuoto, con ali al posto delle braccia ed il volto coperto: la Nera pressione che Nina subisce macchia (di sangue) il candido abito del Cigno Bianco, che, trasfigurato, spezza lo specchio-immagine di sè, scoprendo la carne che lo (de)compone. 

Ed ecco l'Ordine, a passo di Cajkovskij, che esce di scena a causa della responsabilità voluta (ma realmente desiderata?) e cede il proprio ruolo di prima ballerina al Caos, all'irrazionale, all'emotività.

I movimenti peristaltici della camera a mano ci fanno sentire un orrore profondo, (meta)fisico e latente, frutto (proibito) di un'infanzia prolungata al parossismo da un ruolo-non-ruolo che ci palpita sotto la pelle, e che diviene urgente a tal punto da "fuoriuscire" con violenza inaudita, come se tarpato da anni di morbida prigionia.

L'avvolgono, come il moto circolare di una piroetta, la frustrazione e l'invidia che Nina non trova neppure la forza di sfogare se non sul proprio corpo, svuotandosi (tramite l'estenuante dedizione al sogno di qualcun'altro) e scavandosi con le sue stesse mani, mentre cerca, invano e senza nessuna convinzione, di liberarsi dal personaggio di sè stessa.

La linea di demarcazione è troppo labile, frangibile come un unghia, e quello sarà il prezzo per la propria Libertà: la perfezione dell'annientamento.


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